LAVORI PUBBLICI, COMUNICAZIONI (8a)

MARTEDI' 10 FEBBRAIO 2004
303a Seduta (pomeridiana)

Presidenza del Presidente
GRILLO


Intervengono, ai sensi dell'articolo 48 del Regolamento, il dottor Michele Muzii, presidente Federazione concessionarie di pubblicità (FCP), il signor Gaddo della Gherardesca, presidente dell'Associazione periodici associata alla FCP, il dottor Massimo Martellini, presidente dell'Associazione quotidiani associata alla FCP.

La seduta inizia alle ore 15.


SULLA PUBBLICITA' DEI LAVORI

Il presidente GRILLO avverte che è stata avanzata, ai sensi dell'articolo 33, comma 4, del Regolamento, la richiesta di attivare l'impianto audiovisivo per lo svolgimento delle audizioni all'ordine del giorno, che ha informato della richiesta anzidetta il Presidente del Senato il quale ha preannunciato il proprio assenso. Propone pertanto di adottare detta forma di pubblicità.

La Commissione conviene.


PROCEDURE INFORMATIVE

Indagine conoscitiva sul sistema di reperimento delle risorse pubblicitarie dei mezzi di comunicazione di massa: audizione dei vertici della FCP- Federazione concessionarie di pubblicità

Riprende l'indagine conoscitiva sospesa nella seduta antimeridiana di oggi.

Il presidente GRILLO, dopo aver ricordato brevemente le motivazioni e le finalità dell’indagine conoscitiva, dà la parola al Presidente della Federazione delle concessionarie di pubblicità, il dottor Michele Muzii.

Il presidente MUZII delinea brevemente le caratteristiche dell’associazione da lui presieduta illustrando i diversi settori che sono sotto di essa raggruppati. La Federazione concessionarie di pubblicità rappresenta l’insieme delle concessionarie più importanti nei diversi settori della comunicazione pubblicitaria, ad eccezione del settore delle affissioni che ha invece un mercato distinto rispetto a quello delle concessionarie pubblicitarie. La Federazione cura gli aspetti generali , quali ad esempio quelli relativi alla materia sindacale. Gli aspetti specifici sono invece trattati dai presidenti responsabili dei diversi settori.

Il presidente GRILLO chiede ai rappresentanti della Federazione concessionarie di pubblicità la loro opinione in merito alla posizione del settore della carta stampata rispetto a quello televisivo per quanto riguarda la capacità di raccolta pubblicitaria.

Il signor DELLA GHERARDESCA, presidente dell'Associazione periodici della Federazione, fa presente che la situazione attuale nel mercato della pubblicità è contraddistinta da un mezzo, la televisione, che grazie ad una politica commerciale aggressiva protratta negli anni e per lungo tempo senza regole, occupa parte dello spazio riservato ai quotidiani. I quotidiani poi finiscono per occupare lo spazio dei periodici. La carta stampata rimane così pesantemente arretrata rispetto al concorrente principale rappresentato dalla televisione.

Il dottor Massimo MARTELLINI, presidente dell'Associazione dei quotidiani, chiarisce anzitutto il rapporto tra costi e ricavi ed il problema dell’affollamento pubblicitario delle telepromozioni. Procede quindi all’illustrazione di un documento, che consegna alla Commissione, evidenziando i dati del periodo gennaio-novembre 2003 relativi ai valori in euro della pubblicità assorbita dalla carta stampata e dalla televisione. Osserva inoltre che negli ultimi tre anni si è verificata una sensibile contrazione del mercato pubblicitario che ha colpito maggiormente la stampa rispetto alla televisione. Quest’ultima ha avuto, dal 1994 ad oggi, un aumento del fatturato pubblicitario più che proporzionale rispetto alla crescita del fatturato complessivo, occupando conseguentemente percentuali sempre maggiori del totale della torta pubblicitaria. E’ dato osservare inoltre che dal 1990 ad oggi la forbice delle quote di mercato pubblicitario ripartite tra stampa e televisione si è via via dilatata, per cui oggi la stampa occupa una quota di mercato pari al trentasette per cento mentre la televisione detiene una quota di mercato del cinquantaquattro per cento. Illustra infine la ripartizione per media del fatturato pubblicitario relativo all’anno 2002 dalla quale emerge che Italia e Portogallo sono i Paesi in cui più ampia è la differenza tra la quota del mercato pubblicitario detenuta dalla carta stampata e quella detenuta dalla televisione a favore di quest'ultimo settore.

Il senatore VERALDI (Mar-DL-U) chiede se i rappresentanti della Federazione concessionarie di pubblicità condividano la tesi per cui un tetto di affollamento pubblicitario televisivo pari al venti per cento possa indurre i soggetti che non riescono a mandare i propri messaggi in televisione a ritornare a forme pubblicitarie che utilizzino la carta stampata.

Il senatore PESSINA (FI) ricorda che nel corso dell’audizione di questa mattina i rappresentanti degli Utenti pubblicità associati – UPA hanno sostenuto che la pubblicità che non riesce ad andare per televisione non necessariamente verrà canalizzata sulla carta stampata. Chiede quindi se i rappresentanti della Federazione concessionarie di pubblicità condividano questa opinione e quale sia il peso che un'eventuale espansione degli investimenti pubblicitari del settore dei servizi possa avere ai fini del potenziamento e del riequilibrio del mercato pubblicitario.

Il senatore Paolo BRUTTI (DS-U) chiede se esista una correlazione diretta tra l’andamento delle quote di mercato pubblicitario detenuta dalla stampa e quella in mano alla televisione.

Il presidente DELLA GHERARDESCA fa presente che la quota di mercato pubblicitario detenuta dalla televisione è inversamente proporzionale rispetto a quella della carta stampata. Tale sproporzione è tanto più evidente in quei Paesi in cui non si è proceduto ad una equa regolamentazione del mercato. Nei Paesi Europei in cui le quote di mercato sono più equamente ripartite si è proceduto nel passato ad una regolamentazione del mercato pubblicitario che non penalizzasse la carta stampata. A tale riguardo osserva che il sistema integrato delle comunicazioni (SIC) e la normativa relativa alle telepromozioni contenuta nella proposta di legge di riassetto radiotelevisivo rischiano di incrementare ulteriormente il differenziale. Ritiene inoltre che una riduzione degli spazi pubblicitari televisivi determinerebbe tariffe più alte ma con investitori più qualificati. Il costo del contatto televisivo risulta più alto negli altri Paesi europei proprio perché i limiti di affollamento pubblicitario sono più rigidi.

La senatrice DONATI (Verdi-U) chiede quale sia l’interesse delle televisioni all’ampliamento dei tetti pubblicitari se questi sono correlati all’abbassamento delle tariffe.

Il presidente MARTELLINI fa presente che i costi scendono comunque proporzionalmente meno rispetto all’aumento del numero dei contatti.

Il presidente GRILLO osserva che dal 1994 al 2004 il rapporto tra carta stampata e televisione non è sensibilmente cambiato. La televisione ha acquisito un vantaggio in termini di quote di mercato per via di una regolamentazione di settore che in Italia è arrivata dopo rispetto agli altri paesi europei. Chiede quindi quali possano essere gli accorgimenti per consentire il recupero tanto auspicato della carta stampata.

Il presidente DELLA GHERARDESCA ritiene che le testate giornalistiche abbiano posto in essere uno sforzo rilevante per quanto riguarda l’appetibilità dei quotidiani, attraverso le diverse forme di promozione sviluppate nel corso di questi anni. Il mezzo televisivo è attraente per definizione ed ha una dimensione tale da annullare i risultati pur apprezzabili conseguiti dai giornali.

Il presidente MARTELLINI ritiene che la stampa sia in grado di offrire un servizio pubblicitario di maggiore qualità e di più lunga durata rispetto alla televisione, anche per quanto riguarda le cosiddette comunicazioni di servizio. Concorda con il senatore Brutti sul tema della correlazione inversa tra le quote di mercato pubblicitario detenute dalla televisione e quelle in mano alla carta stampata. Fa presente infine che la pubblicità può costituire un considerevole elemento per il miglioramento dello stesso prodotto editoriale.

Il senatore Paolo BRUTTI (DS-U) chiede quali possano essere le regole da introdurre nella riforma del settore radiotelevisivo ai fini di un efficace ed equo riequilibrio del sistema.

Il presidente DELLA GHERARDESCA ritiene che prima ancora della creazione di nuove regole sia necessario far rispettare quelle già esistenti. Auspica pertanto che i tetti di affollamento previsti dalla normativa vigente non risultino stravolti dalla nuova regolamentazione delle telepromozioni.

La senatrice DONATI (Verdi-U) fa presente che gli Utenti pubblicità associati – UPA hanno questa mattina sostenuto che la responsabilità per la sproporzionata ripartizione delle quote di mercato deve essere attribuita all’incapacità dei giornali di vendere i propri prodotti e che, in rapporto, la situazione del mercato pubblicitario italiano risulta in linea con quella degli altri paesi europei.

Il presidente DELLA GHERARDESCA fa presente, a tale proposito che in Italia il numero di lettori che legge lo stesso giornale, per esempio nella stessa famiglia, è più ampio rispetto agli altri paesi europei che hanno una lettura più individuale; lo stesso giornale viene letto da una sola persona.

Il presidente MUZII conferma altresì che i dati di vendita rappresentano un elemento di valutazione che non deve essere confuso con quelli relativi alla lettura del quotidiano, indici questi ultimi del gradimento del prodotto editoriale. I giornali italiani non sono meno venduti rispetto a quelli europei. Il rapporto tra il numero dei lettori e il numero dei quotidiani venduti è notevolmente più alto rispetto alla media europea per il fenomeno illustrato dal presidente Della Gherardesca. Dai dati in possesso alla Federazione concessionarie di pubblicità risulta infatti che sono diciassette milioni gli italiani che leggono quotidianamente il giornale.

Il presidente GRILLO, dopo aver ringraziato i presidenti Muzii, Della Gherardesca e Martellini, dichiara conclusa l’audizione e rinvia il seguito dell’indagine conoscitiva.

La seduta termina alle ore 16,15.
INDAGINE CONOSCITIVA


SUL SISTEMA DI REPERIMENTO
DELLE RISORSE PUBBLICITARIE
DEI MEZZI DI COMUNICAZIONE DI MASSA

2º Resoconto stenografico

SEDUTA DI MARTEDÌ 10 febbraio 2004

(Pomeridiana)

Presidenza del presidente GRILLO

INDICE

Audizione dei vertici della FCP-Federazione concessionarie di pubblicità

* PRESIDENTE
Pag. 3, 4, 5 e passim

BRUTTI Paolo (DS-U)
8, 11, 13 e passim

* DONATI (Verdi-U)
8, 13, 17

* PESSINA (FI)
10, 19

* VERALDI (Mar-DL-U)
10

DELLA GHERARDESCA
Pag. 6, 12, 13 e passim

MARTELLINI
7, 8, 9 e passim

MUZII
4, 5, 16 e passim
N.B.: Gli interventi contrassegnati con l’asterisco sono stati rivisti dall’oratore.

Sigle dei Gruppi parlamentari: Alleanza Nazionale: AN; Democratici di Sinistra-l’Ulivo: DS-U; Forza Italia: FI; Lega Padana: LP; Margherita-DL-l’Ulivo: Mar-DL-U; Per le Autonomie: Aut; Unione Democristiana e di Centro: UDC; Verdi-l’Ulivo: Verdi-U; Misto: Misto; Misto-Comunisti Italiani: Misto-Com; Misto-Indipendenti della Casa delle Libertà: Misto-Ind-CdL; Misto-Lega per l’Autonomia lombarda: Misto-LAL; Misto-Libertà e giustizia per l’Ulivo: Misto-LGU; Misto-Movimento territorio lombardo: Misto-MTL; Misto-MSI-Fiamma Tricolore: Misto-MSI-Fiamma; Misto-Nuovo PSI: Misto-NPSI; Misto-Partito Repubblicano Italiano: Misto-PRI; Misto-Rifondazione Comunista: Misto-RC; Misto-Socialisti democratici Italiani-SDI: Misto-SDI; Misto Alleanza Popolare-Udeur: Misto-AP-Udeur.

Intervengono per la FCP (Federazione concessionarie di pubblicità) il dottor Michele Muzii, presidente, il signor Gaddo della Gherardesca, presidente dell’Associazione periodici, e il dottor Massimo Martellini, presidente dell’Associazione quotidiani.

I lavori hanno inizio alle ore 15.

PROCEDURE INFORMATIVE

Audizione dei vertici della FCP - Federazione concessionarie di pubblicità

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito dell’indagine conoscitiva sul sistema di reperimento delle risorse pubblicitarie dei mezzi di comunicazione di massa.

Comunico che, ai sensi dell’articolo 33, comma 4 del Regolamento, è stata chiesta l’attivazione dell’impianto audiovisivo e che la Presidenza del Senato ha già preventivamente fatto conoscere il proprio assenso. Se non si fanno osservazioni, tale forma di pubblicità è dunque adottata per il prosieguo dei lavori.
È oggi prevista l’audizione dei vertici della FCP – Federazione concessionarie di pubblicità. Sono presenti il dottor Michele Muzii, presidente della Federazione concessionarie di pubblicità (FCP), il signor Gaddo della Gherardesca, presidente dell’Associazione periodici associata alla FCP, il dottor Massimo Martellini, presidente dell’Associazione quotidiani associata alla FCP.
Ricordo che abbiamo avviato questa indagine conoscitiva dopo aver discusso in modo approfondito il disegno di legge di legge di riforma del sistema radiotelevisivo del nostro Paese. Nel corso di questi dibattiti sono emerse osservazioni e critiche sulla realtà radiotelevisiva e, all’interno di questo confronto, non poco ci ha impegnato la questione la questione dei mezzi e delle risorse pubblicitarie che affluiscono alla televisione, alla radio e alla carta stampata. Abbiamo quindi deciso di approfondire queste tematiche, ascoltando i protagonisti del settore per comprendere perché i giornali attirano meno pubblicità della televisione e hanno in Italia una diffusione inferiore rispetto alla media europea; in sintesi, vogliamo capire a fondo i problemi che da anni questo settore lamenta per cercare di fornire risposte di tipo legislativo o amministrativo. Stamani abbiamo ascoltato i direttori generali dell’UPA e dell’Auditel; oggi pomeriggio intendiamo approfondire ancora di più le questioni relative alle risorse pubblicitarie (come affluiscono, in che misura, e il loro rapporto con gli altri Paesi europei).
Do quindi la parola ai rappresentati della FCP, ringraziandoli per aver accettato l’invito della Commissione a partecipare all’incontro odierno.

MUZII. Ringrazio il Presidente e la Commissione per questa audizione e preannuncio che consegnerò agli atti alcune copie dell’organigramma della nostra federazione. Siamo stati convocati come Federazione concessionarie di pubblicità ma, quale presidente di cinque associazioni (delle televisioni, dei quotidiani, dei periodici, delle radio e del Web, cioè di tutte le concessionarie che trattano questi prodotti e mezzi), ritenevo di dover intervenire con tutti i presidenti dei vari settori. In un secondo momento ho realizzato si intendeva ascoltare i presidenti delle associazioni dei due settori stampa, quotidiani e periodici. Sinceramente, mi sento un po’ in imbarazzo, essendo presidente di tutte le concessionarie di pubblicità, anche di quelle della televisione. Pertanto consegno agli atti una copia dell’organigramma in modo che la Commissione possa conoscere tutte le associazioni con i rispettivi presidenti.
PRESIDENTE. Ai fini di una miglior comprensione, faccio presente che nella programmazione decisa è già previsto un incontro con Sipra e Publitalia.
MUZII. Parlerò pertanto in generale senza soffermarmi sugli aspetti che riguardano i singoli mezzi pubblicitari, su cui interverranno i presidenti dei settori quotidiani e dei periodici. Inoltre, al fine di comprendere appieno il funzionamento della FCP, nella relazione che consegnerò agli atti è riportato l’elenco delle concessionarie che fanno parte delle varie associazioni, presiedute da un consiglio federale.

Fatta questa premessa, vorrei svolgere anzitutto un’osservazione sul fatto che in Italia si vendono poche copie di quotidiani. Poiché lavoro dal 1967 in questo campo posso affermare che l’Italia è il Paese dove vi è una quantità notevole di comunicazione sia elettronica, attraverso la televisione, sia molecolare, attraverso la stampa. Generalmente si usa fare un paragone coi Paesi del Nord Europa e con gli Stati Uniti. Quanto alla stampa, il paragone con gli Stati Uniti è sbagliato: trattandosi di una grande federazione di Stati, la maggior parte dei quotidiani è a tiratura locale e praticamente non esistono grandi quotidiani nazionali. Per quanto riguarda la Gran Bretagna, faccio presente che, se non si considerano i quotidiani scandalistici quali The Mirror e The Sun, i quotidiani di informazione del livello dei nostri vendono le stesse copie di quelli italiani. Preciso che, poiché in Italia disponiamo di una grande televisione, sia qualitativamente che quantitativamente importante, nonché di un circuito di radio private notevole, si può affermare serenamente che il nostro Paese gode di una maggiore abbondanza di comunicazione rispetto agli altri Paesi europei.

PRESIDENTE. Si tratta di un concetto importante. In che senso parla di maggiore comunicazione?
MUZII. Se sottoponiamo a monitoraggio il processo informativo ci rendiamo conto che l’italiano ha una serie di fonti attraverso le quali informarsi addirittura più numerose di quelle degli altri Paesi europei, compresa la Francia. Infatti la televisione italiana è qualitativamente e quantitativamente superiore a quella francese, che trasmette moltissimi talk-show anche di informazione e di approfondimento e non solo di divertimento, come spesso si interpretano i talk-show italiani. Inoltre la Francia conta quotidiani non più grandi di quelli italiani. È un mercato abbondante il nostro. Sono a disposizione, Presidente, per qualsiasi altra domanda.
PRESIDENTE. Normalmente in Commissione seguiamo questa prassi: gli ospiti fanno una relazione introduttiva e poi i Commissari pongono domande e chiedono chiarimenti.
MUZII. Credo di dire delle ovvietà affermando che la FCP è l’insieme delle concessionarie più importanti che ci sono in Italia, ad eccezione del settore delle affissioni. Infatti quello delle affissioni è un settore particolare: generalmente la concessionaria ha in appalto un mezzo, che può essere televisivo o di stampa, che immette in modo esclusivo sul mercato. Nel nostro mestiere esiste un termine non splendido ma di uso comune: sono chiamati affissatori coloro che si occupano del settore delle affissioni. L’affissione per certi versi è un settore a sé stante poiché implica da parte di chi vende la pubblicità anche investimenti di carattere industriale con immobilizzi: infatti bisogna disporre di circuiti di poster e di trespoli che in ogni caso vanno manotenuti.

Per una serie di vicende, che è superfluo ricordare in questa sede, il settore delle affissioni ha un mercato distinto rispetto a quello delle concessionarie pubblicitarie e pertanto non rientra nell’ambito della Federazione concessionarie di pubblicità. Quest’ultima si occupa di tutto il resto: web, radio, televisioni; dalla piccola e giovanile MTV fino a Canale 5, Italia 1, Rete quattro e alle reti RAI. Tutte le televisioni sono rappresentate dalla nostra federazione attraverso le loro concessionarie (Publitalia 80 per le reti Mediaset, la Sipra per le reti RAI). Attraverso la nostra federazione passano i famosi 15.000 miliardi di vecchie lire, circa 8 miliardi di euro.
La Federazione dispone di una serie di strutture che servono a fornire servizi vari alle concessionarie e si occupa di aspetti sindacali e di carattere generale.
Gli aspetti di carattere commerciale, direttamente legati ai vari mezzi, rappresentano invece un compito dei presidenti delle varie associazioni, perché le problematiche di una televisione sono ovviamente del tutto differenti da quelle di un quotidiano, di una radio o di un circuito Internet.

PRESIDENTE. Desidero spiegare agli ospiti presenti che l’intento della Commissione è capire quali problemi stanno attraversando il settore dei quotidiani e quello dei periodici. Da parte di taluni si sostiene che nel mercato pubblicitario esistente nel nostro Paese la crescita della televisione in qualche modo arreca nocumento alla crescita dei giornali, nel senso che la prima riesce a calamitare una quantità di risorse notevoli. In sostanza, si preferisce il mezzo televisivo a scapito dei quotidiani che pertanto arrancano di fronte ad una concorrenza che non riescono a sostenere.

Vorrei sapere se questa raffigurazione della realtà è esatta. Stamattina abbiamo sentito tesi alternative e volevamo conoscere il vostro punto di vista.

DELLA GHERARDESCA. Credo sia importante, a questo punto, introdurre la nostra relazione, in cui compaiono diverse tabelle con dei numeri esplicativi della situazione. Indubbiamente la fotografia che emerge dal documento che il dottor Martellini vi illustrerà denota una situazione attuale di mercato della pubblicità in cui esiste un mezzo che in termini percentuali ha una partecipazione al mercato anomala rispetto alla realtà internazionale. Questo mezzo va ad occupare spazi pubblicitari che altrimenti sarebbero destinati ai quotidiani. I quotidiani a loro volta, abbassando le tariffe per cercare di acquisire vendite, vanno ad erodere la quota di mercato dei periodici. Quindi, quotidiani e periodici, in questo ordine che rappresenta le dimensioni di mercato dei rispettivi settori, ne fanno le spese.

Signor Presidente, desidero fare un esempio. Il Cashmere Piacenza ha sempre fatto comunicazione sulla stampa; tutti sanno che questo non è un prodotto di larga massa, eppure oggi viene pubblicizzato in televisione. Sulle televisioni nazionali in prime time è possibile vedere società di cui si fa fatica a identificare la ragione sociale: non si tratta della Fiat o della Ferrero. La Confetti Crispo sponsorizza il programma Meteo. Ciò significa che (come risulta dalle tabelle che abbiamo consegnato), di fronte a una percentuale di affollamento elevato e a una tolleranza di questi affollamenti, la televisione è in grado di attirare consistenti flussi di pubblicità. Parlo non soltanto della stampa nazionale, ma anche dei mezzi alternativi, cioè delle televisioni locali. Sono il presidente della PRS: noi siamo una concessionaria multimediale come ve ne sono tante in Italia, gestiamo la stampa e televisioni di area ma con un budget di 50.000 euro dobbiamo competere con la televisione nazionale. Si tratta di una distonia assoluta che esiste solo in Italia. E’ un fatto che giudichiamo anomalo, come probabilmente confermerà la FIEG (Federazione italiana editori giornali) quando si presenterà per l’audizione in questa Commissione.
Inoltre, a fronte di una minore disponibilità economica da parte dei cittadini si assiste ad una contrazione dei consumi, compresi quelli destinati alla lettura. È chiaro che riducendosi i consumi di lettura aumenta la quota parte della pubblicità a sostegno del conto economico delle imprese editoriali. È chiaro che segando una gamba il tavolo non è più in grado di restare in piedi: in questo caso addirittura il tavolo dovrebbe reggersi su una sola gamba. Questo è un aspetto sul quale fortunatamente non spetta a me decidere, perché è una grande responsabilità, e che inficia fortemente non solo lo sviluppo ma la stessa tenuta sul mercato della carta stampata.

MARTELLINI. Nel documento che presentiamo oggi alla Commissione cerchiamo di spiegare come funziona il mercato, quali sono gli operatori presenti e in particolare come funziona la concessionaria. In sostanza cerchiamo di spiegare qual è l’iter che un’azienda, che intende investire in pubblicità attraverso gli operatori presenti sul mercato, deve seguire.

Abbiamo affrontato il tema dei tetti di affollamento e della capacità di raccolta pubblicitaria della carta stampata rispetto alla TV. Aggiungerei una cosa al ragionamento svolto poc’anzi dal presidente Della Gherardesca.
Il maggiore affollamento pubblicitario della televisione rispetto alla stampa è legato anche alla circostanza che nella prima si divide uno spazio determinato per un certo numero di clienti pubblicitari; in realtà la suddivisione concerne uno spazio già esistente, vale a dire quello contenuto all’interno di un palinsesto precostituito: si ha quindi un abbassamento delle tariffe. La stampa, invece, per mantenere una posizione concorrenziale sul mercato subisce un aumento dei costi perché a un maggior numero di clienti pubblicitari corrisponde banalmente un maggior utilizzo di carta. Quindi, tra televisione e stampa si ha un’inversione della disponibilità di spazio. Mentre la televisione può coprire spazi fissi, la stampa ha un spazio enormemente variabile perché un giornale viene fatto su una base di foliazione. Gli esuberi di pubblicità obbligano ad un aumento della foliazione stessa. Un caso di concorrenza è il seguente. Abbiamo parlato del Cashmere Piacenza come prodotto non di largo consumo ma presente su un mezzo di larghissimo di consumo come la televisione. Abbiamo parlato di Confetti Crispo per soglia di entrata in televisione; parliamo anche di grandi clienti. Recentemente è accaduto che si doveva recuperare lo spazio creatosi all’interno della televisione per le campagne saltate; abbiamo visto di un cliente nazionale importante come Wind dirottare i budget: a fronte di un insaturo televisivo, Wind ha accettato le proposte commercialmente di certo molto valide della televisione, non aumentando il proprio budget a disposizione della comunicazione ma riducendo la parte destinata alla stampa per dirottarla verso la televisione. È chiaro che una simile proposta televisiva può essere fatta: di fronte a un annullamento, si dispone di una percentuale di spazio invenduto che si può rivendere. Per quanto riguarda la stampa un simile evento significherebbe variazione di foliazione, di budget e di investimenti. Ho fatto questo esempio per chiarire il rapporto tra costi e ricavi in funzione della presenza pubblicitaria e del concetto di affollamento televisivo rispetto a quello stampa.
Preciso inoltre che l’affollamento televisivo risente di molte voci. È stato ampiamente discusso in questi giorni se considerare le telepromozioni all’interno o al di fuori del tetto di affollamento pubblicitario. Per quanto ci riguarda, la posizione della stampa è chiara: la presenza all’interno del tetto di affollamento pubblicitario delle telepromozioni è per noi di fondamentale importanza per i motivi appena accennati; infatti innalzare quel tetto, cioè permettere alla televisione un affollamento pubblicitario ancora maggiore, corrisponde, per la ferrea legge della domanda e dell’offerta, ad un abbassamento delle tariffe perché abbassa la soglia di entrata in televisione. Ciò porta il mezzo debole rispetto alla televisione, cioè la stampa, a dover seguire questa tendenza di mercato, poiché una parte di clientela di budget contenuto, abitualmente presente sulle pagine dei quotidiani, si riversa sul mezzo televisivo. L’affollamento è una funzione fondamentale di rapporto tra tariffe e presenza sul mercato pubblicitario. Questa è una precisazione ed un ampliamento di quanto accennato nell’intervento precedente.
Abbiamo preparato questa breve memoria che presenta la situazione dell’ultimo periodo per il totale della comunicazione: stampa, divisa tra quotidiani e periodici, televisione, divisa tra Sipra e Publitalia ’80 – i due principali operatori di questo settore –, radio, affissioni e cinema. Le fonti sono citate all’interno della prima tabella, relativa al totale degli investimenti suddivisi in lire milioni, prima dell’avvento dell’euro, e successivamente in euro. Questa tabella riporta i dati fino al novembre 2003 ed è fondata su dati ACNielsen, la più grande società di ricerca che opera in questo settore. Da questa tabella si nota che nel periodo gennaio-novembre 2003 il totale della stampa si è attestato intorno a 2.600.000 euro mentre il totale della TV si è attestato intorno a 3.800.000 euro. Noterete la disparità tra le due voci: un solo operatore del mercato televisivo raccoglie quanto tutta la stampa, tra quotidiani e periodici ed altri operatori del settore.
Nella tabella successiva abbiamo inserito una variazione percentuale sull’anno precedente.

BRUTTI Paolo (DS-U). Non è stato sempre così?
MARTELLINI. Parlo della situazione attuale. Abbiamo preso in considerazione gli anni che vanno dal 1994 ad oggi.
BRUTTI Paolo (DS-U). Nel decennio è sempre stata così la situazione. Non mi pare che cambi nel tempo.
MARTELLINI. Questa disparità non si è creata oggi.
BRUTTI Paolo (DS-U). A me sembra che si raddoppi non solo il mercato ma anche le quote della stampa.
PRESIDENTE. C’è una crescita proporzionale.
DONATI (Verdi-U). Meno che proporzionale.
MARTELLINI. Il mercato ha avuto dei cali negli ultimi anni. quindi, si è registrata una contrazione, non una crescita, risentita in alcuni casi maggiormente dalla stampa che dalla televisione.
BRUTTI Paolo (DS-U). Questo è un dato nuovo.
MARTELLINI. Negli ultimi tre anni non vi è stata una crescita ma una contrazione che ha colpito di più il mezzo stampa rispetto al mezzo televisivo. Uno dei motivi è la possibilità di operare sulla leva delle tariffe in funzione dell’affollamento, mentre – come ho detto prima – non è possibile farlo per l’affollamento della stampa.

Abbiamo inserito poi un grafico recante la variazione in percentuale sull’anno precedente con una serie di istogrammi per quanto riguarda il totale mercato. La parte cromatica della tabella mostra l’andamento del mercato sugli anni precedenti.
La tabella successiva illustra l’andamento del mercato pubblicitario per settori negli ultimi anni. Vi è una crescita della TV dal 1994 (nell’istogramma centrale il dato è riferito alla somma delle televisioni), rispetto ad un andamento ciclicamente simile ma con crescite differenti (proprio perché non era proporzionale rispetto a quanto detto) per la stampa, rappresentata nella prima colonna del grafico. Rientrano all’interno delle varie voci anche radio, affissioni e cinema con quote percentuali inferiori.
Per quanto riguarda la situazione di mercato, abbiamo inserito anche una tabella con le quote percentuali di mercato pubblicitario tra stampa e TV: la televisione è partita da una percentuale pari a circa il 57 per cento nel 1994 per arrivare oggi intorno al 54 per cento; i quotidiani nello stesso periodo sono passati da circa il 21 a circa il 22 per cento e i periodici da circa il 16 a circa il 15 per cento.
Nella tabella successiva è illustrata l’evoluzione delle quote di mercato pubblicitario stampa e TV: la retta rossa rappresenta i dati relativi alla stampa e quella verde i dati concernenti la televisione. In questa tabella potete osservare come dagli anni Novanta, in cui la situazione era invertita (50 per cento del mercato per la stampa e 45 per cento per le televisioni), ad oggi, si assiste ad una notevole divaricazione tra le due componenti.
Le quote di mercato per grande mezzo riportate nella tabella successiva visualizzano i dati sotto il profilo numerico. Dal 1994 in poi potete osservare qual è l’assestamento del mercato tra stampa, televisione ed altri mezzi in termini percentuali.
Abbiamo poi inserito un dato numerico a chiusura dell’anno da cui si evince che nel 2003, rispetto al 2002, si è registrata una contrazione della pubblicità per la stampa dell’1 per cento, a fronte di una crescita del totale della pubblicità del 2 per cento. La quota di mercato pubblicitario per la televisione è cresciuta del 4 per cento, mentre la crescita dei quotidiani ha risentito di un fattore di pubblicità locale, che interessa particolari aree di diffusione dei giornali, a fronte di un calo più sentito della pubblicità nazionale.
Chiudo questa breve rassegna con un riferimento alla ripartizione per mezzo del fatturato pubblicitario nei principali Paesi europei. A fronte di una situazione che, per l’anno 2002, vedeva il Lussemburgo con una quota di mercato del 70 per cento per la stampa e del 10 per cento per la televisione e a seguire Svizzera, Danimarca, Svezia e Finlandia con percentuali pressoché analoghe, in Olanda, Italia e Portogallo, gli ultimi tre Paesi della tabella, si registra un’inversione del mercato pubblicitario con una maggiore quota per la componente televisiva rispetto a quella della stampa.

VERALDI (Mar-DL-U). Il problema che attualmente sollevano tutti i mass media e che si pone in tutti i confronti politici nei quali si discute del riordino del sistema radiotelevisivo è innanzi tutto quello di porre un limite al tetto di affollamento pubblicitario televisivo.

La domanda, che può apparire ingenua, ha lo scopo di acquietare un mio dubbio. L’idea di stabilire un tetto di affollamento pubblicitario per la televisione pari al 20 per cento può effettivamente indurre i soggetti che non riescono a mandare i propri messaggi in televisione a ritornare a forme pubblicitarie che utilizzino la carta stampata?

PESSINA (FI). Desidero riallarciarmi agli interventi svolti questa mattina dai rappresentanti degli utenti pubblicità associati (UPA). Nel corso dell’audizione sono emerse considerazioni di carattere generale relative ai flussi pubblicitari.

Un aspetto che già ho avuto modo di sottolineare riguarda l’affermazione del direttore generale Lioy, il quale ha dichiarato che la tesi per cui la riduzione degli spazi pubblicitari televisivi determina automaticamente un orientamento dei flussi pubblicitari verso la carta stampata non è sostenibile. Al riguardo vorrei sapere cosa ne pensano i rappresentanti della Federazione concessionarie di pubblicità, i quali hanno una visione molto più ampia del problema. Abbiamo ascoltato la tesi degli utenti che rappresentano i grandi investitori della pubblicità, che per necessità e natura sono indirizzati ad investire nel mezzo televisivo.
Gli ospiti di questo pomeriggio, come federazione di tutte le concessionarie, rappresentano un’utenza più parcellizzata di quella dell’UPA. Di conseguenza utilizzano i mezzi pubblicitari in funzione delle proprie disponibilità finanziarie di stanziamento non avendo, come per esempio la Ferrero, milioni di euro da investire in pubblicità, ma budget ridotti che devono ottimizzare scegliendo mezzi che consentano loro di raggiungere i propri obiettivi. Pertanto, vorrei sapere se è condivisibile la tesi espressa dai vertici dell’UPA in base alla quale comprimendo la possibilità di accesso alle televisioni non si determinerebbe automaticamente un aumento dei flussi pubblicitari a favore della carta stampata.
Un’altra considerazione che desidero svolgere si riallaccia a quanto poc’anzi abbiamo sentito dire dal dottor Muzii. Quest’ultimo ha fatto un’affermazione che ritengo debba essere sottolineata, anche in funzione dei dibattiti piuttosto accesi e controversi svoltisi in questi due anni sulla riforma del sistema radiotelevisivo. Mi riferisco alla cosiddetta «legge Gasparri». Poco fa il presidente Muzii, dall’osservatorio rappresentato dalla FCP, ha affermato che l’Italia è il Paese con il maggior numero di fonti informative in Europa, ma credo anche rispetto ad altri Paesi del mondo. Oltre all’Europa possiamo prendere in considerazione, come termine di paragone, solo gli Stati Uniti per i quali vale analoga considerazione.
Il dibattito che si sta svolgendo è finalizzato ad aiutare il settore della carta stampata a trovare un proprio equilibrio nel mercato pubblicitario. Spesso la nostra attenzione si è concentrata sul mezzo televisivo considerato come quello che fagocita e drena tutte le risorse pubblicitarie. Scopo di questa indagine della Commissione è di individuare altre possibilità o fonti di potenziamento, sempre sotto il profilo pubblicitario, per il settore della carta stampata anche con provvedimenti di natura legislativa. L’aiuto che chiediamo attraverso questa indagine è proprio quello di trovare insieme soluzioni che possano ampliare questo mercato.
In mattinata era stata sottolineata l’assenza della pubblicità relativamente ai servizi bancari e assicurativi; si tratta di un ampio settore di notevole portata e di grande valenza economica che potrebbe – e non lo fa – investire in una comunicazione pubblicitaria relativa ai servizi che può offrire. Vorrei sapere la posizione della Federazione delle concessionarie pubblicità, proprio in forza di questa sua ampia rappresentatività nei mezzi pubblicitari; e vorrei capire come vi state indirizzando verso il potenziamento di queste importanti linee di comunicazione pubblicitaria.

BRUTTI Paolo (DS-U). Guardando la tabella della ripartizione del mercato nei principali Paesi europei, basata su elaborazioni della World Press Trends 2003, si nota che tra tutti i Paesi europei l’Italia ha la minore quota di mercato coperta dalla stampa, seguita solo dal Portogallo; l’Italia è il penultimo Paese d’Europa e si colloca dietro all’Irlanda, alla Grecia e alla Spagna. L’Italia conta il 39 per cento di quota di mercato della stampa mentre la Grecia ha il 43. Corrispondentemente vedo che l’Italia è il secondo Paese d’Europa per quota di mercato della televisione. Esaminando gli altri dati, osservo che quasi ovunque laddove la televisione mangia molto la stampa mangia poco. Dunque esiste una correlazione diretta tra spazio del mezzo televisivo e contrazione dello spazio del mezzo stampa. In Italia questa situazione è la peggiore d’Europa, non considerando il Portogallo. Tra i grandi Paesi europei, noi siamo il Paese nel quale vi è la minore quota di mercato. Come questo possa conciliarsi con il fatto che in Italia vi sia un grande pluralismo del sistema di informazione è un mistero: quasi tutta la pubblicità va alla sua televisione, che è in mano prevalentemente a due operatori, RAI e Mediaset, che occupano circa il 90 per cento del mercato. Quindi, poiché la maggior parte della pubblicità va alla televisioni, in particolare a RAI e Mediaset, siamo di fronte ad un’altissima concentrazione, diversamente da come ha sottolineato il senatore Pessina.

Mi piacerebbe sapere il vostro punto di vista in proposito perché si potrebbe tentare di correggere questo dato limitando lo spazio del sistema televisivo nell’ambito della torta complessiva della pubblicità. Valutate importante un riequilibrio di questo genere? Deve essere percorsa una strada che preveda qualche mezzo incentivante? Oppure devono essere percorse strade che prevedano mezzi disincentivanti?

DELLA GHERARDESCA. La risposta sta nella tabella dove sono riportate le quote di mercato pubblicitario dei singoli mezzi nei Paesi europei, dove la presenza della televisione è stata regolamentata. In Germania, in Olanda ed in molti Paesi vi sono delle regole senza le quali la televisione avrebbe spadroneggiato. Se esiste una quota di mercato più limitata è semplicemente perché il mercato è stato regolamentato.

In rappresentanza di tutti gli associati all’Associazione periodici non voglio assolutamente pensare che dobbiamo ridurre la quota di mercato. Non parliamo di questo, bensì di non aumentare la quota di mercato. Il problema delle telepromozioni o il problema del SIC diventato di proporzioni che vanno oltre ogni immaginazione fanno sì che la quota di mercato della televisione non possa che aumentare. Non credo che noi dobbiamo impedire alla Ferrero, alla Fiat, alla Procter & Gamble, all’Unilever (potrei fare un elenco molto lungo di prodotti di largo consumo) di accedere alla televisione, mezzo che, come dice giustamente l’UPA, muove le vendite. Vorremmo però evitare il caso Cashmere Piacenza (parlo di questo marchio, ma potrei citarne altri) che va in televisione perché vi sono condizioni di mercato che commercialmente parlando si possono definire «sbracate» e fa una campagna che non ha grande visibilità a causa dei grandi affollamenti; vorremmo evitare che si disperda quel denaro che fino a pochi anni fa era investito sui mezzi stampa o altri. Tanto per dare un’idea del perché le televisioni all’estero non hanno una quota così dominante, esaminando i dati a nostra disposizione, fatto 100 il costo contatto televisivo in Italia, ci rendiamo conto che lo stesso costo in Austria è pari a 305, in Belgio 231, in Danimarca 223 e in Francia 147. La tariffa televisiva insomma costa di più.

MARTELLINI. Vi sono maggiori potenzialità di investimento dei clienti con budget limitato.
DELLA GHERARDESCA. Uno dei problemi che stiamo affrontando è quello dell’affollamento pubblicitario; si tratta di un problema avvertito anche dalla stampa perché vi è una tale guerra commerciale che siamo costretti a produrre più pagine per poter ottenere gli stessi risultati. Questo a nocumento della trasmissibilità del messaggio sia nelle televisioni che nella stampa. Semmai quindi la strada da percorrere è esattamente quella opposta: prevedere tariffe più alte e avere meno investitori ma più qualificati. Chiaramente le aziende non smetterebbero di fare pubblicità perché sarebbe come cercare di fermare l’orologio per impedire il trascorrere del tempo e rimanere giovani. Continuerebbero a fare pubblicità ma userebbero quei media che hanno dato risultati molto validi fino a poco tempo fa e che ora sono abbandonati per le nuove esigenze.

Vi è anche un fatto psicologico: essere su un canale televisivo nazionale è diverso. Se ci si presenta con un microfono e una telecamera, anche se la telecamera non ha la pellicola e se l’intervistatore è il cugino di quello che cerca di comportarsi scorrettamente, tutti cadono nel tranello. Il mezzo televisivo è attraente per definizione. Non vogliamo che questo mezzo venga messo in prigione perché – questo va detto – ha dato al mercato la possibilità di svilupparsi. Non ci troveremmo in questa sede a discutere di pubblicità se il mezzo televisivo non apparisse in quella forma. E noi non vogliamo tarpargli le ali, però riteniamo ingiusto che le ali vengano tarpate alla stampa, che tanta importanza ha nel sistema informativo e formativo.

BRUTTI Paolo (DS-U). Vorrei chiederle una precisazione utile per la nostra comprensione. Lei diceva che negli altri Paesi il costo-contatto è più alto ma non ci ha spiegato perché ciò avviene.
DELLA GHERARDESCA. La tariffa è più alta perché si devono rispettare i limiti di affollamento; se si vuole accedere a quegli spazi bisogna pagare quei prezzi. Se ciò non accade, se il break pubblicitario non è di tre ma di sei minuti, lei capisce che tutti hanno accesso al mezzo televisivo: si crea un tale svilimento della tariffa per cui non c’è più la potenzialità di far pagare il costo-contatto ai livelli europei.
BRUTTI Paolo (DS-U). Potremmo avere questi dati?
DELLA GHERARDESCA. Certamente, questi sono dati di un global media comparison 2002 del World Advertising Research Center che indicano i costi contatti per 1.000 adulti nel 2001. Posso consegnarli agli atti della Commissione.
DONATI (Verdi-U). Qual è l’interesse a tenere la tariffa bassa e ad allargare le fasce, se, parlando in termini di incassi del soggetto televisivo, il risultato non cambia?
DELLA GHERARDESCA. Lo spiego brevemente facendo un esempio. Noi abbiamo avuto in concessione dei mezzi stampa da un editore – di cui ovviamente non faccio il nome – che ci ha imposto un prezzo. Le assicuro che la concessionaria della quale io sono vice presidente ha conseguito il risultato sul ricavo medio perché c’era un prezzo imposto. Se si mettono dei paletti, questi vengono rispettati; se invece si lascia al libero arbitrio del mercato la definizione della tariffa, perché questo permette di immettere sul mercato un volume superiore di prodotto, il prezzo non sarà più quello. Si tratta di una legge di mercato.
MARTELLINI. Se non ho capito male, senatrice Donati, lei chiedeva come fanno ad aumentare i ricavi, se la pubblicità viene venduta ad un costo minore rispetto a quello degli altri Paesi, laddove l’idea dovrebbe essere quella di venderla ad un compenso maggiore.
DONATI (Verdi-U). È esatto, vorrei capire perché le televisioni sono interessate all’ampliamento dei tetti pubblicitari.
MARTELLINI. Sicuramente il costo-contatto, cioè le tariffe, diminuisce meno di quanto aumenta lo spazio; quindi ad un prezzo inferiore ci sono più spazi, tanto da avere alla fine un ricavo maggiore, perché è il mezzo principale che fa il mercato ed è necessario adeguarsi.
PRESIDENTE. I grafici che avete consegnato agli atti della Commissione fotografano una situazione che va dal 1994 al 2003. In questi dieci anni la situazione nel rapporto tra carta stampata e mezzo televisivo non è molto cambiata. C’è una situazione – che evidentemente abbiamo ereditato – di un mezzo televisivo che è più forte della carta stampata perché – si dice – che allora, e non so quando, non esisteva una regolamentazione del settore riscontrabile invece in altri Paesi europei, in base alla quale questi Paesi hanno organizzato una sorta di contingentamento delle risorse pubblicitarie che potevano affluire alla televisione.

Bene, questa è la storia passata. Adesso però discutiamo cosa fare oggi, e in questa occasione non stiamo discutendo sulla cosiddetta «legge Gasparri», in cui vi è una norma che dà al mezzo televisivo ancora più spazio attraverso le telepromozioni. Ora stiamo svolgendo un’indagine conoscitiva per capire come e cosa si dovrebbe fare per consentire alla carta stampata di procedere ad una velocità superiore rispetto agli ultimi anni per recuperare risorse pubblicitarie all’interno del montante definito SIC. Questo non mi è chiaro; questa mattina abbiamo sentito alcune osservazioni. La fotografia che voi fate ora è molto chiara ma la conclusione mi sembra poco motivata: sembra quasi si affermi che, siccome il mezzo televisivo cresce, la carta stampata è penalizzata.

DELLA GHERARDESCA. Questo è un fatto basilare. Se esiste un mezzo che ha possibilità superiori (ad esempio per il non rispetto degli affollamenti pubblicitari), la situazione è sbilanciata. Ho fatto prima l’esempio del recupero di clienti: si registra la concorrenza anche su 50.000 euro di budget, cioè su budget risibili che non si potrebbe mai pensare che la televisione nazionale possa essere interessata a catturare; è chiaro che questo drena le potenzialità poiché la televisione è un media più attraente e su molti settori merceologici più accelerante. Ciò non significa che gli editori non debbano fare un lavoro sempre migliore affinando e potenziando i propri mezzi, trovando delle forme di promozione in maniera più attenta. Come potete constatare, negli ultimi due o tre anni la carta stampata ha cercato nelle più diverse forme di mettersi in moto, con le promozioni fatte su quotidiani, con i quotidiani nelle classi di scuola, con la periodica allegatura di prodotti alle riviste e così via; la carta stampata cerca di fare qualcosa, sono stati rinnovati moltissimi prodotti. Purtroppo però questo non basta, perché indubbiamente la dimensione della televisione, se non è controllata, annulla simili iniziative. Questo è il problema.
MARTELLINI. Il discorso rischia di essere ripetitivo, nel senso che quello che sta illustrando ora il signor Della Gherardesca è il concetto intorno al quale ruota l’intera questione. Voglio fare un esempio per evidenziare l’effervescenza della stampa: per recuperare quote di mercato in un momento di crisi delle risorse pubblicitarie, la stampa, utilizzando il canale edicola, ha inventato una serie di prodotti collaterali, se non addirittura di supporto, per giustificare l’appetibilità informativa della stampa rispetto ad un’informazione che arriva dal tubo catodico (e non solo, visto lo sviluppo del satellitare).

Volevo invece cercare di capire, per poi dare una risposta, la domanda del senatore Pessina. Egli faceva cenno ad una comunicazione di servizio che poteva essere una delle forme da sviluppare per la stampa. Ben vengano le comunicazioni di servizio, ma se queste partono da aziende e da utenti pubblicitari associati, spesso a loro volta girano all’interno di comunicazioni più ampie sul mezzo di maggior diffusione, che permette di raggiungere il maggior numero di persone. La stampa secondo noi può sicuramente offrire un servizio di maggiore qualità anche per la comunicazione di servizio e per la durata media del prodotto: i periodici durano un mese o una settimana in casa, il quotidiano almeno 24 ore, laddove un messaggio fugace in televisione per una comunicazione di servizio può richiedere un maggior numero di passaggi per essere compreso, affinché un numero di telefono possa essere copiato e così via. Tutto sta a capire se questa comunicazione di servizio proviene dagli utenti o da enti diversi. Per quanto riguarda il mezzo, di solito per una comunicazione di servizio l’utilizzo migliore è quello della stampa.
Riallacciandomi invece al concetto dell’affollamento pubblicitario, il senatore Pessina ha chiesto se questo genera maggiori o minori risorse per la stampa. Devo dire che effettivamente esiste questa relazione, anche perché si tratta di saturazione e non soltanto di affollamento. Se il tetto dell’affollamento è contingentato – e certo non si vogliono tarpare le ali al mezzo televisivo – è inevitabile che, a fronte di una saturazione, si cerchi un altro mezzo di comunicazione. L’affollamento pubblicitario per la stampa è dato dalle rotative: queste danno la possibilità di stampare soltanto un determinato numero di pagine, oltre un certo limite non si potrà accettare pubblicità e si verifica quindi un contingentamento nei fatti. Pertanto a quel punto si cerca un altro mezzo pubblicitario.
Tutto ciò si trasforma in risorse che danno ricchezza al mezzo stesso, non è soltanto una questione di sopravvivenza. È un’offerta di maggiori servizi. Si rende ancora più appetibile la stampa in edicola perché il mercato è libero anche nell’acquisizione: non è un’entità propria presentata al mondo ma viene acquistata; quindi deve mantenere una sua autonoma quota di mercato per essere venduta e per essere considerata migliore dal pubblico. Perciò la si rende più ricca con maggiori servizi, allegati, informazioni da vendere al pubblico. La funzione del conto economico cui si riferiva prima è proprio questa: il conto economico non si muove più solo con l’edicola ma con la pubblicità e questa a sua volta è un motore di miglioramento del prodotto stesso.

MUZII. Premesso che mi ero impegnato a non intervenire essendo il presidente di tutti vorrei rispondere al senatore Pessina che ha interpretato alcune mie affermazioni arrivando a delle conclusioni. Non rinnego ma confermo le mie affermazioni: è vero che l’Italia, anche per lo spirito degli italiani, è un Paese in cui si comunica molto in termini elettronici e molecolari. Ciò non toglie che ai problemi bisogna trovare una soluzione. Il fatto che vi sia molta comunicazione non significa alcunché. Faccio un esempio: in Africa si muore comunque di fame pur essendoci più uomini che in Europa! È un po’ forte come paragone ma rende l’idea. Quindi è vero che ho affermato che vi è molta comunicazione, ma una soluzione deve essere trovata in ogni caso.
PRESIDENTE. A noi interessa l’altro versante: vi è molta comunicazione perché ci sono due grandi protagonisti nel settore televisivo (Rai e Mediaset), ma ci sono anche 700 televisioni locali; ci sono 5 quotidiani nazionali (Il Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa, Il Messaggero, Il Giornale) ma ci sono poi centinaia di quotidiani locali che vendono circa 10.000 copie.
MUZII. Credo di aver capito che il senatore Pessina affermasse che ci sono troppi mezzi stampa. Non è un fatto di quantità: si può combattere in due o in 2.000. Il problema non è quello, laddove si ritiene vi sia un problema. Questo devono dirlo i miei colleghi.
BRUTTI Paolo (DS-U) . Qual è la vostra opinione? Si potrebbe lasciare decidere al mercato: poiché il mezzo televisivo ha le sue caratteristiche, costa meno ed ha un impatto maggiore, si notano certi risultati. Se riteniamo che ciò non sia giusto perché comporta uno spostamento eccessivo di risorse, lo strangolamento della stampa a vantaggio della televisione, si può introdurre una regolamentazione del mercato come è stato fatto negli altri Paesi europei. Con quale strumento potrebbe divenire efficace tale regolamentazione?

I dati dimostrano che le quote di mercato si stanno spostando sempre di più a vantaggio della comunicazione televisiva; quindi o riusciamo a fermare tale spostamento con regole che ci permettano di agire efficacemente, oppure lasciamo decidere al mercato. In altri Paesi europei i rapporti di spartizione del mercato si sono modellati sulle regole esistenti; ritengo che si potrebbero introdurre regole analoghe nel nostro Paese. Secondo voi quali sono le prime a dover essere introdotte per poter agire efficacemente?

DELLA GHERARDESCA. Le regole esistono già. In primo luogo, quindi, bisogna rispettare l’affollamento televisivo: esiste già una regola e prima di approvarne altre è necessario applicare quelle esistenti. In secondo luogo farei un’analisi comparativa delle legislazioni dei Paesi in cui la televisione non ha una posizione così dominante. Non sono un legislatore; faccio il venditore di spazi pubblicitari e forse una parte delle domande dovrebbero essere poste alla FIEG. Giustamente il senatore Pessina poneva una domanda a cui non possiamo rispondere, devono farlo i nostri editori. Di base, rispettare i dati di affollamento già previsti dalla legge è un fatto fondamentale. Speriamo poi che questo affollamento non venga infarcito con le telepromozioni: questa sarebbe una batosta insostenibile.

Quindi, poiché esistono tabelle che ci forniscono dati precisi, bisogna fare un’indagine per verificare come mai questa realtà è così distonica. È stato subito individuato il dislivello tra i vari Paesi e si è subito notata la situazione del Portogallo e dell’Italia. Dovremmo esaminare le legislazione dei vari Paesi ma, lo ripeto ancora, anzitutto è necessario applicare le leggi esistenti.

DONATI (Verdi-U). Questa mattina l’UPA (Utenti pubblicità associati) ha affermato che in Italia vi è questo squilibrio perché la carta stampata vende poco. Sono state fornite anche cifre precise e vi è stata una discussione sul fatto di ricomprendere o meno la free press tra i prodotti venduti dai giornali. Fatte le debite proporzioni, l’UPA ha affermato che l’Italia è assolutamente in linea rispetto gli altri Paesi europei. Vorrei sapere come valutate voi queste informazioni.
MUZII. Cosa si intendeva con l’essere in linea con gli altri Paesi europei?
PRESIDENTE. È un dato di fatto o no che il numero di copie di giornali vendute è inferiore a quello degli altri Paesi d’Europa?
DELLA GHERARDESCA. Si deve tenere conto del fatto che in Italia esiste un sistema sociale che permette la fruizione di un maggior numero di copie. Se guardiamo i dati Auditel ci rendiamo conto che il «lettorato» è simile a quello estero. Non voglio raccontare la favola del giornale che si legge dal barbiere, ma sottolineo che in molte zone d’Italia vi sono molti lettori per copia.
MUZII. Vi è un dato di fatto preciso, e ribadisco ancora una volta che con i miei interventi non intendo dare ragione né alla stampa né alla televisione. Nel mezzo elettronico (televisione, radio) si registra il fenomeno del chiodo schiaccia chiodo: se si guarda un canale della televisione non è possibile guardarne un altro. Questa è l’importante differenziazione tra un pezzo di carta o uno schermo televisivo: il pezzo di carta può essere passato e letto in tempi diversi e allo stesso tempo il fenomeno della videoregistrazione è ancora limitato. Ciò impone delle problematiche a livello di quantità di pubblico utile per la pubblicità. Interessa poco alla comunicazione che il pubblico sia addotto per via di un quotidiano di seconda mano o che sia primario perché il proprietario abbia acquistato quella copia.
BRUTTI Paolo (DS-U). I dati di vendita sono una cosa e quelli di lettura un’altra.
PRESIDENTE. Non possiamo però limitarci ad affermare che abbiamo un sistema sociale diverso degli altri Paesi, non possiamo limitarci a dire che tante persone leggono lo stesso giornale. Sono molto interessato a recepire le osservazioni dei presidenti delle Associazioni dei periodici e dei quotidiani. Però, quanto è stato detto è coniugabile in tutti i Paesi e quindi non altera la percentuale. Invece è importante chiarire quanto è stato detto stamattina: si vendono meno copie di giornali in Italia rispetto ad altri Paesi più evoluti d’Europa.
BRUTTI Paolo (DS-U). I lettori sono uguali.
MUZII. Io dico che non è vero.
DONATI (Verdi-U). Ci sono tanti numeri. Ci sono i giornali scandalistici, quelli liberi e quelli di informazione vera per cui alla fine i dati sono similari.
MUZII. Il «Guardian» inglese vende 600.000 copie mentre l’«Indipendent» stava per chiudere. È chiaro che poi ci sono quotidiani a larga diffusione come il «Daily Mirror» e il «Sunday», o da noi l’editoria gratuita rivolta al grande pubblico, ma – e lo dico quasi per un puntiglio di carattere professionale – bisogna smetterla di affermare che in Italia si legge poco. Il nostro surrogato ai quotidiani scandalistici inglesi, che si occupano prevalentemente delle questioni legate alla Casa reale, è costituito da periodici come «Novella 2000», «Chi» o «Visto». C’è quindi un’abitudine al consumo differente.

Desidero poi sottolineare un altro aspetto che caratterizza il nostro Paese. L’Italia è abituata a leggere meno sotto il profilo dell’acquisto di un quotidiano. Il Presidente sa bene che a Napoli, i cui cittadini sono di una simpatia a tutti nota, il giornalaio può vendere due volte lo stesso giornale. Nei Paesi nordici, come Svezia o in Inghilterra, la lettura è più individuale: si acquista il quotidiano, si legge e poi si butta la copia. In Italia c’è la tendenza a non buttare la copia perché qualcuno poi deve darle un’occhiata. In sostanza il rapporto tra il numero dei lettori e il numero dei quotidiani venduti è notevolmente più alto rispetto alla media europea proprio per questo fenomeno.
In questo modo sto convalidando i dati espressi dall’Audipress. Mentre l’Auditel fotografa nettamente gli ascoltatori per il fenomeno del chiodo scaccia chiodo (se guardo un programma non posso guardarne un altro), invece il giornale può essere letto in tempi diversi e da persone differenti. In Italia, forse più al Sud che al Nord, c’è un gradiente maggiore per queste abitudini che ci differenzia notevolmente dai Paesi nordici.

PESSINA (FI). A Genova ci sono le bacheche. Le famose bacheche dei centri storici.
MUZII. Non so se vi è mai capitato di passare a via del Tritone dove al piano terra c’è la sede del quotidiano «Il Messaggero» e in bacheca sono esposte le pagine del giornale. E’ possibile osservare molte persone che si fermano a leggere. Quelli sono lettori, non c’è ombra di dubbio; sono viewers, come li chiamano gli americani.
MARTELLINI. Riporto un dato numerico. La quantità di lettori contattati dal mondo della stampa giornalmente è in media di 17 milioni di persone, pur a fronte di una vendita inferiore di giornali. Ciò è dovuto sempre alle peculiarità di cui abbiamo parlato. Comunque, il volume di contatti sviluppati, per questioni sociali ma anche per problemi climatici, più veri al Centro e al Sud dove c’è una vita di relazione diversa con un tempo libero maggiore, convalida i dati dell’Audipress. Il dato fondamentale è capire quante volte si viene a contatto con quella stessa copia del giornale (magari dal barbiere o al bar), fattore spesso indipendente dal numero degli acquirenti.
MUZII. Negli anni abbiamo assistito ad un consumo giornaliero sempre maggiore del prodotto televisivo. A fronte di una maggiore offerta televisiva la gente preferisce guardare la TV. Oggi la televisione si guarda anche di notte e molti di noi spesso lasciano il televisore acceso. In occasione del blackout ci fu un Ministro, non ricordo quale, che raccomandò di spegnere anche la lucina rossa del televisore. Io esorto le persone a spegnere il televisore quando dormono, perché altrimenti figura come un consumo di televisione rilevato dall’Auditel.
PRESIDENTE. Stamattina ci hanno spiegato come funziona l’Auditel. Non si può dire che tutte le televisioni del nostro Paese sono monitorate.
MARTELLINI. Tanti anni fa gli ascolti venivano rilevati anche con il monoscopio notturno della RAI.
PRESIDENTE. Se non vi sono ulteriori interventi, ringrazio i convenuti a nome di tutti i Commissari per l’importante contributo fornito e gli elementi di chiarezza offerti, nonché per la documentazione che ci è stata consegnata.

Speriamo di giungere alla conclusione di questa indagine conoscitiva entro un mese. Alla fine dei nostri lavori vi faremo pervenire il documento conclusivo, finalizzato a capire quali sono i problemi della carta stampata e quali indicazioni fornire al Parlamento al fine di provvedere, sotto il profilo legislativo o amministrativo, a risolvere i problemi individuati nel corso dell’indagine.
Dichiaro conclusa l’audizione e rinvio il seguito dell’indagine conoscitiva ad altra seduta.

I lavori terminano alle ore 16,15.
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