AFFARI ESTERI, EMIGRAZIONE (3a)

MERCOLEDI' 4 APRILE 2001
358a Seduta

Presidenza del Presidente
MIGONE

Intervengono il ministro degli affari esteri Dini ed il sottosegretario di Stato per il medesimo Dicastero Danieli.

La seduta inizia alle ore 15,35.

SULLA PUBBLICITA’ DEI LAVORI

Il presidente MIGONE avverte che è stata presentata richiesta di attivazione dell’impianto audiovisivo per lo svolgimento dell’odierna seduta. Comunica altresì che il Presidente del Senato, in previsione della richiesta, ha preannunciato il suo assenso.

La Commissione accoglie tale proposta e conseguentemente viene adottata questa forma di pubblicità, ai sensi dell’articolo 33, comma 4, del Regolamento, per il successivo svolgimento dei lavori.


PROCEDURE INFORMATIVE
Svolgimento di interrogazioni e delle connesse comunicazioni del Ministro degli affari esteri sui recenti sviluppi nei Balcani e nel Medio Oriente

Il sottosegretario DANIELI risponde all'interrogazione 3-04232, precisando che nello scorso quinquennio sono entrate in carriera diplomatica più donne di quante ne fossero entrate nel precedente decennio; anche la provenienza universitaria dei vincitori del concorso è variata, in quanto dalle università romane e napoletane è giunto il 48 per cento del personale reclutato nell'ultimo quinquennio; l'11 per cento proviene dalle università milanesi ed il 9 per cento da quella fiorentina, invertendo così una tendenza che nel precedente decennio vedeva Roma e Napoli fornire oltre il 60 per cento del personale assunto in carriera.

Il presidente MIGONE replica dichiarando che le cifre fornite dal Governo suggeriscono riflessioni positive per l'inversione di tendenza realizzata, ma esse necessitano di un consolidamento ulteriore: l'incremento di presenza femminile in diplomazia è stato significativo, ma in termini assoluti il successo negli studi diplomatici delle donne non è certo rispecchiato dal modesto 22 per cento dei neo-assunti: se è vero che nel reclutamento in carriera diplomatica incide anche il disincentivo derivante dallo sradicamento geografico – al quale talvolta le donne sono più restie, quando con famiglia – resta comunque da appurare la proporzione dei sessi nella partecipazione al concorso.
Anche geograficamente l'attenuazione del trend favorevole a Roma, Napoli e Firenze merita di essere ulteriormente propiziata: la riforma del concorso (mediante la delega conferita al Governo) e la composizione parzialmente diversa delle commissioni d'esame potrebbero spingere in tale direzione; va comunque criticato il metodo con cui si sono privilegiati in passato corsi di formazione, collocati soprattutto nella città di Roma, che insegnano eminentemente tecniche di superamento dei concorsi piuttosto che formare i nuovi diplomatici italiani.

Il sottosegretario DANIELI risponde all'interrogazione 3-04362: la soddisfazione per la presenza italiana nei rami elevati delle istituzioni internazionali, tra cui la NATO, si accompagna al riconoscimento della necessità di imprimere un maggiore impulso ai rami medio-alti. Dopo aver ricordato l'azione sfavorevole alla nomina del ministro Rizzo, da parte di alleati che utilizzavano strumentalmente la nomina dell'ammiraglio Venturoni per lamentare una presunta sovrarappresentazione italiana, ricorda che i contratti a tempo indeterminato di grado "A" presso il Segretariato della NATO, stipulati con cittadini italiani, non sono cinque ma otto (ai quali va aggiunto un grado "L" equiparato e cinque contratti in agenzie specializzate). Tale situazione è prodotta da un contesto ordinamentale che disincentiva i distacchi da pubbliche amministrazioni, in quanto contempla l'obbligo decennale; la carenza di candidature in quota italiana ed i rischi di esodo verso altre organizzazioni con migliori prospettive di carriera (ad esempio l'Unione europea) spiegano la lamentata sottorappresentazione a livelli non apicali.
Dopo aver ricordato le misure intraprese dal Ministero degli affari esteri per rilanciare il coordinamento delle candidature presso le organizzazioni internazionali, il Sottosegretario contesta la validità di un raffronto meramente numerico: la Gran Bretagna ha storicamente una maggiore influenza sulla struttura organizzativa della NATO, mentre il Belgio è sede di vari organismi dell'Alleanza, per cui i rispettivi vantaggi quantitativi si spiegano in modo diverso. I casi Palmieri, Carnovale e de Santis sono oggetto di disamina puntuale nella risposta del rappresentante del Governo, che poi riferisce del rigetto (per motivi di tutela della privacy) della richiesta avanzata al Segretariato della NATO circa la lista nominativa dei funzionari a contratto a tempo indeterminato. La visibilità dell'Italia nella NATO ha raggiunto livelli molto alti, come dimostrano le posizioni apicali rivestite e la presenza militare nei Balcani: restano da riequilibrare i livelli intermedi, ma ciò è conseguibile soprattutto prevenendo esodi verso altre organizzazioni mediante un più remunerativo riconoscimento di carriera.

Il presidente MIGONE giudica insoddisfacente la risposta del Governo, imperniata sulla visibilità laddove l'obiettivo da conseguire dovrebbe essere diverso: esercitare un peso proporzionato al contributo di bilancio italiano si può, ma solo se alla rappresentanza apicale si affiancano livelli intermedi altrettanto cospicui. Al contrario, il Governo non riesce a far emergere candidature italiane: il rischio di esodo, addotto come causa, in realtà è un effetto dell'assenza di prospettiva di carriera dei funzionari italiani nella NATO, in ragione della carenza di contratti a tempo indeterminato.

Il ministro DINI, anche in relazione all'interrogazione n. 3-04169, fornisce una disamina della posizione italiana nelle due principali aree di crisi del momento: Balcani e Medio Oriente.
L'arresto di Milosevic ha aperto una pagina nuova nell'evoluzione politica iugoslava, confermando la vocazione riformista della nuova classe dirigente in un contesto economico e sociale indubbiamente pesante; l'arresto è stato disposto sulla base di imputazioni attinenti a reati di cui egli deve rispondere innanzitutto nei confronti del suo paese: si tratta di un passo importante, che dovrà seguire il suo corso istituzionale ed essere completato da un approccio cooperativo di Belgrado con il Tribunale dell'Aja per i crimini nell'ex Iugoslavia. Occorre scongiurare, poi, il rischio che il Kosovo si trasformi un rifugio per il terrorismo internazionale: il quadro giuridico rappresentato dalla risoluzione 1244 delle Nazioni Unite sarà confermato dalla partecipazione serba alle elezioni generali, destinate a designare i rappresentanti dei futuri organi provvisori di autogoverno. Anche il Montenegro dovrebbe astenersi da atti unilaterali, evitando processi disgregativi e celebrando le elezioni del prossimo 22 aprile in un contesto democratico, anche sotto il profilo dell'accesso ai mezzi di informazione. Quanto alla Bosnia-Erzegovina, la posizione italiana è per il rispetto degli accordi Dayton, condannando le posizioni oltranziste e le spinte secessioniste di alcune forze croato-bosniache.
Ma è la situazione in Macedonia che ora richiama l'attenzione internazionale, essendovi rischi per la stabilità e la sicurezza per l'intera area, sui quali in serata il Ministro intratterrà il collega macedone Kerim: i gruppi estremisti di etnia albanese che operano al confine tra Kosovo, Macedonia e Serbia meridionale lasciano paventare una possibile estensione dei recenti conflitti nelle zone a composizione etnica mista; l'intervento militare macedone nei dintorni di Tetovo ha costituito un'importante dimostrazione di autodifesa che, mediante il respingimento oltre frontiera dei guerriglieri, ha rinfrancato l'opinione pubblica. L'azione militare è stata opportunamente condotta riducendo al minimo i danni per la popolazione civile, allo scopo di evitare una spaccatura della popolazione secondo linee etniche che avrebbe pregiudicato il dialogo politico-istituzionale ancora in corso nella coalizione governativa di Skopje.
Nell'affrontare la situazione locale, la comunità internazionale ha dimostrato una coesione positiva, esemplificata dalla partecipazione del presidente macedone Trajkovski al Consiglio europeo di Stoccolma: qui si è ribadita l'inviolabilità dei confini, invitando il governo macedone a perseverare nella sua linea responsabile favorendo il dialogo interetnico. Anche la NATO, dal canto suo, ha dato un forte segnale di impegno e solidarietà al governo macedone, mediante il rafforzamento del controllo dei confini da parte della KFOR, pur non intendendosi oltrepassare il quadro giuridico-militare rappresentato dal mandato ricevuto dalle Nazioni Unite per il Kosovo; quanto alla risoluzione del 21 marzo scorso, del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, la condanna delle azioni armate degli estremisti albanesi si è accompagnata ad un riferimento al ruolo costruttivo svolto dall'Albania; un'analoga azione moderatrice l'Italia sta svolgendo nei confronti degli albanesi del Kosovo, invitandoli a recidere ogni legame, anche indiretto, con le formazioni antimacedoni.
La situazione mediorientale è l'altro focolaio di preoccupanti tensioni, incentrate sul circolo vizioso tra le accuse israeliane ad Arafat – sulle sue responsabilità terroristiche – e le incursioni militari israeliane contro alcuni obiettivi siti in territori sotto la giurisdizione dell'Autorità nazionale palestinese. Il governo Sharon, a seguito degli ultimi attacchi terroristici, ha intrapreso misure militari che non sembrano condurre ad un deflazionamento della tensione: è invece importante concordare azioni di fiducia che aiutino a porre termine alla violenza da ambedue le parti; tra di esse rientrano l'accesso agli ospedali per la popolazione palestinese, l'allentamento del blocco economico dei territori occupati e la ripresa dei trasferimenti fiscali all'Autorità palestinese.
La nuova amministrazione statunitense ha assunto una posizione di relativo disimpegno rispetto al processo di pace; Mosca, da parte sua, richiede il coinvolgimento in un nuovo tavolo negoziale anche dell'Unione europea e di paesi arabi "chiave": ne discenderebbe la ripresa di un dialogo di sostanza con Siria e Libano e, in un'ottica più allargata, anche una maggiore implicazione dell'Iran. Quanto all'Unione europea, a Stoccolma sono stati stanziati aiuti finanziari ai palestinesi, vincolati ad un rigore economico sotto il controllo del Fondo monetario internazionale: la durezza del blocco economico imposto ai territori palestinesi, rilevata anche nel recente viaggio di Solana nella regione, rende evidente la necessità di una politica di pacificazione dell'area, senza la quale non sarà possibile porre fine alla violenza tra le parti.

Interviene il senatore MARCHETTI, che in un'ottica di superamento delle difficoltà riscontratesi in Medio Oriente sottolinea la novità del disimpegno statunitense e la necessità di riempire tale vuoto mediante la costituzione di una forza multinazionale di interposizione sotto l'egida delle Nazioni Unite; il coinvolgimento europeo potrebbe poi avvenire con l'invio di osservatori che controllino l'applicazione degli impegni di tregua. Nelle considerazioni espresse dal Ministro la sua parte politica ravvisa elementi di apprezzamento, proprio perché non escludono tali sbocchi.

La senatrice DE ZULUETA riconosce il ruolo importante svolto nei Balcani dall'Italia, che ha accettato di inviare truppe sulla frontiera tra Kosovo e Macedonia, mentre il generale Cabigiosu dimostra equilibrio e prudenza nel gestire la situazione kosovara con estrema attenzione nei confronti della minoranza serba.
La forte pressione internazionale per ottenere dalla Serbia la consegna di Milosevic al Tribunale dell'Aja non dovrebbe spingersi fino a condizionare a tale adempimento l'ingresso serbo negli organismi finanziari internazionali: cio non solo per rispetto della fragile democrazia iugoslava, ma anche per un senso del realismo che – già dimostrato dalla NATO in Bosnia dopo gli accordi di Dayton (quando ci si astenne dall'arrestare Mladic e Karadziè pur avendone in astratto la possibilita) – consiglierebbe di non sfidare l'ampia riserva di orgoglio nazionale serbo con inutili offese alla sua sovranità. Senza forzare gli sviluppi interni della situazione, potrebbero essere gli stessi serbi entro la fine dell'anno a giungere alla conclusione auspicata da tutta la comunità internazionale.
In attesa di una conferenza che coinvolga tutti i soggetti internazionali interessati alla stabilità del Medio Oriente, l'oratrice concorda con l'approccio minimalista incentrato sull'adozione di misure di fiducia tra le parti: ad esse si potrebbe aggiungere – nell'impossibilità di ottenere immediatamente una decisione sulla sovranità di Gerusalemme – l'autogestione dei luoghi santi islamici da parte dei palestinesi, che tornerebbero così ad esercitare un ruolo tradizionalmente di loro spettanza.

Il senatore PORCARI giudica debole la proposta di invio di una forza di interposizione ONU in Medio Oriente, finché non vi sarà l'accordo tra le parti e l'appoggio statunitense; anche l'invio di osservatori europei esporrebbe soltanto al rischio vite umane. La carenza della posizione europea risiede nella genericità del suo pietismo pacifista, che tende a condannare gli israeliani per eccesso di reazione senza considerare che non possono richiedersi atteggiamenti imbelli in presenza di gravissimi attentati. Quello che si definisce un disimpegno statunitense, in realtà, è una voluta momentanea equidistanza: senza osare dissentire pubblicamente da Washington, le posizioni filopalestinesi dell'Unione europea non si sostanziano in nessuna vera proposta alternativa e, pertanto, senza un'intesa con gli Stati Uniti sono destinate a non portare a nulla.

Il senatore BASINI si dichiara insoddisfatto per il complesso della politica condotta nei Balcani dal concerto delle potenze occidentali: non è una critica nei confronti dell'azione italiana (i cui militari stanno validamente dando prova di sé) ma si tratta di un invito a non ripetere il ricorrente errore di creare equilibri instabili in Iugoslavia; essi producono solo il coinvolgimento delle potenze che li hanno disegnati, chiamati a puntellare l'instabilità che è destinata a riesplodere appena vi sarà un ritiro. La NATO non si è sottratta a questo circolo vizioso: ha cercato di crearsi una funzione esercitando una presenza nei Balcani, che in realtà ha complicato la situazione. La crisi mediorientale, poi, non è frutto dello scontro tra nazione israeliana e palestinesi, bensì è della seria e fondata paura di Israele nei confronti di un piccolo popolo con il quale solidarizza l'immensa nazione mussulmana; ciò produce i timori geopolitici che rendono la posizione israeliana difficilmente transigibile.
Ringrazia infine il presidente Migone per aver egregiamente condotto la Commissione in una legislatura per altri versi caratterizzata da posizioni contrapposte: la Commissione esteri del Senato ha rappresentato un raro caso di foro oratorio che ha prodotto decisioni concrete, al di fuori degli schieramenti precostituiti, consentendo così al Parlamento di svolgere appieno la sua funzione.

Il presidente MIGONE esordisce rilevando come l'epoca aperta dalla caduta del muro di Berlino sia segnata dalla transizione tra un sistema bipolare a tensioni multipolari originate da conflitti etnico-culturali-religiosi: adattare organismi come la NATO alla diversa funzione di sicurezza collettiva si è rivelato difficile, come dimostra la vicenda del Kosovo e gli sviluppi macedoni. La crisi è stata superata non per la capacità di prevenzione del quartier generale di Bruxelles, ma per il self-restraint di Tirana e di Pristina; la NATO ha difficoltà ad adeguarsi al fatto che gli oppressi di ieri possano diventare i prevaricatori di domani (con la conseguente oscillazione di un pendolo impazzito, che dalla sopravvalutazione dell'UCK passa alla controproducente ipotesi di un richiamo delle truppe serbe). Ciò avviene per una difficoltà di rapporti tra Europa e Stati Uniti, nella quale questi ultimi non intendono correre rischi umani ma neppure dichiarare espressamente questa loro volontà; di conseguenza, l'Europa è restia ad assumere le responsabilità che le competono nella gestione delle crisi locali e che – in un ritorno di tensioni tra la superpotenza americana e la Cina o la Russia – la dovrebbero indurre ad esercitare un ruolo per il mantenimento di buoni rapporti tra Est ed Ovest.

Il ministro DINI replica agli intervenuti dichiarando che l'invio di una forza di interposizione ONU in Palestina è precluso dal veto che già gli Stati Uniti d'America hanno opposto in Consiglio di sicurezza; anche l'invio di osservatori europei incontrerebbe l'ostilità israeliana. Il negoziato va ripreso, ma l'Unione europea non merita l'accusa di adesione incontrollata alle tesi dei palestinesi: questi ultimi sono la parte debole del conflitto, il che ha guadagnato loro simpatie ed aiuti economici, ma la posizione dell'Unione mantiene una sostanziale indipendenza di giudizio. Gli Stati Uniti, invece, sposano la tesi di Sharon secondo cui si potrà trattare solo quando Arafat porrà termine alla violenza, secondo una posizione sterile che ignora quanto gli animi si siano esacerbati negli ultimi sei mesi; l'Italia ritiene invece necessario che sia Israele a fare una proposta, considerato il rischio di un'ulteriore esplosione per l'attendismo con cui la comunità internazionale ha sostanzialmente subito i regressi negoziali verificatisi negli ultimi anni; semmai, invece di ripartire dalla piattaforma negoziale offerta a Taba da Barak, si potrebbe accogliere come base di partenza la precedente raggiuntasi a Sharm el Sheik.
Concorda con il giudizio favorevole espresso sulle capacità del generale Cabigiosu, apprezzate anche a livello internazionale; nel crogiuolo etnico balcanico, era dovere italiano evitare ulteriori frammentazioni che avrebbero aumentato l'instabilità, per cui ci si attiene scrupolosamente alla risoluzione n. 1244 delle Nazioni Unite secondo cui il Kossovo deve diventare regione autonoma e non Stato indipendente. La Macedonia rischia di diventare vittima del nazionalismo albanese per cui opportunamente la comunità internazionale ha scelto di emarginare gli estremisti, ottenendo da Pristina e Tirana prese di distanza ufficiali nei loro confronti; la questione macedone manterrà un livello di rischio controllato fino a quando la minoranza albanese si sentirà rappresentata dalle istituzioni statuali macedoni, cosa che la maggioranza slava è stata attentissima a garantire finora (e che potrebbe ulteriormente essere propiziata riconoscendo il diritto alla costituzione di università albanesi).
L'atteggiamento verso Belgrado non risponde, neppure da parte degli Stati Uniti, ad un condizionamento tra aiuti economici ed estradizione di Milosevic all'Aja: l'Italia chiede che Milosevic risponda a delle accuse mossegli in Serbia, sollecitando in prospettiva una collaborazione di Belgrado col Tribunale che gia ha incriminato quindici persone, alla cui costituzione in giudizio il governo iugoslavo potrebbe contribuire. Il Ministro riconosce infine alla Commissione, presieduta dal senatore Migone, di avere instaurato un rapporto proficuo col Governo, che nello scorso quinquennio ha utilmente contribuito ad individuare le migliori soluzioni per la gestione della politica estera nazionale. Si associano il senatore PORCARI (che ringrazia anche il ministro Dini) ed il senatore D'URSO (che dichiara di parlare anche a nome del senatore Vertone Grimaldi).

Il presidente MIGONE, commosso per le espressioni di stima rivoltegli, le trasferisce a tutta la Commissione che, durante la legislatura, ha prodotto concordemente legislazione ed indirizzi ampiamente condivisi nel settore della politica estera: tra questi, da ultimo la legge sulla stabilità dei Balcani, per la cui applicazione auspica che il Governo provveda con la massima urgenza.
Dichiara quindi chiuse le procedure informative, compresa la risposta all'interrogazione n. 3-04169, con le comunicazioni del ministro Dini.

La seduta termina alle ore 17,40.