AFFARI ESTERI, EMIGRAZIONE (3a)

MERCOLEDI' 21 MARZO 2001
357a Seduta

Presidenza del Presidente
MIGONE


Interviene il sottosegretario di Stato per gli affari esteri Ranieri.

La seduta inizia alle ore 15,05.


SULLA PUBBLICITA’ DEI LAVORI

Il presidente MIGONE avverte che è stata presentata richiesta di attivazione dell’impianto audiovisivo per lo svolgimento dell’odierna seduta. Comunica altresì che il Presidente del Senato, in previsione della richiesta, ha preannunciato il suo assenso.

La Commissione accoglie tale proposta e conseguentemente viene adottata questa forma di pubblicità, ai sensi dell’articolo 33, comma 4, del Regolamento, per il successivo svolgimento dei lavori.


PROCEDURE INFORMATIVE

Comunicazioni del sottosegretario di Stato per gli affari esteri Ranieri sui recenti sviluppi nei territori della ex Iugoslavia.

Il presidente MIGONE rivolge un cordiale benvenuto al sottosegretario Ranieri e gli dà la parola.

Il sottosegretario RANIERI rileva come la Macedonia si trovi alle prese con una delle più difficili crisi interne dal momento della sua nascita, nel 1991, crisi che costituisce una minaccia alla stabilità e alla sicurezza dell'intera area.
La crisi è iniziata il 10 febbraio scorso, quando un attentato a Tearce – non lontano dalla città di Tetovo – contro un posto di polizia nei pressi della frontiera del Kosovo e rivendicato da un sedicente "Esercito di liberazione nazionale", di matrice albanese, è costato la vita ad un agente ed il ferimento di altri due. L'offensiva dei gruppi estremisti di etnia albanese si è poi allargata, investendo prima il piccolo villaggio di Tanusevci, presso la frontiera nord-orientale della Macedonia con il Kosovo, e poi la città di Tetovo, principale città a maggioranza albanese, dove, durante una pacifica manifestazione di albanesi, unità di polizia macedoni sono state attaccate con armi automatiche da elementi paramilitari annidati sulle colline nei pressi del vicino confine con il Kosovo.
Nelle ultime ore il Governo macedone ha lanciato un ultimatum ai gruppi estremisti intimando loro di ritirarsi dalle zone montagnose attorno alla città di Tetovo entro la mezzanotte di oggi. Risulta peraltro che senza attendere la scadenza dell'ultimatum le forze macedoni hanno già ripreso l'offensiva.
La situazione sul terreno continua ad essere assai grave ed incerta. Secondo quanto risulta all'ambasciata di Skopje, a fronte di circa 1000 guerriglieri bene armati ed addestrati vi sono circa 1500 elementi macedoni – 800 della polizia e 700 dell'esercito – con una componente del 40 per cento di etnia albanese. Per far fronte all'emergenza, il Governo ha deciso di richiamare i riservisti – 12.000 unità – e di imporre dalle 19 alle 6 il coprifuoco su Tetovo.
Emerge chiaramente che esistono legami tra i gruppi estremisti di etnia albanese che operano tra Kosovo, Macedonia e Serbia Meridionale, e vi sono connessioni tra le attività armate in Macedonia ed i flussi di contrabbando di armi e traffici illeciti che interessano l'area. Risulta infatti che alle attività di contrabbando ed ai traffici illeciti di varia natura partecipino militanti dell'ex-UCK, di origine kosovara ovvero albanese-macedone, alcuni dei quali sono stati in passato arrestati ed identificati.
L'allargarsi degli scontri ha immediati riflessi sul delicato equilibrio inter-etnico del Paese; al riguardo, ricorda che circa il 30 per cento della popolazione macedone è di etnia albanese. Skopje, consapevole della complessità della questione, ha sinora sviluppato una linea di sostanziale cautela e moderazione, rifuggendo tra l'altro dal dichiarare lo "stato di emergenza" che, oltre ad incontrare la probabile opposizione del Partito albanese al Governo, il PDA, rischierebbe di esacerbare la tensione, comportando tra l'altro l'adozione della legge marziale.
Le reazioni nei Paesi limitrofi sono state improntate a grande responsabilità. Sofia ha infatti chiarito che un eventuale invio di truppe potrebbe avvenire solo nel quadro di una forza multinazionale, lasciando chiaramente intendere che si vuole evitare una "balcanizzazione" della questione. Per parte sua, Tirana ha sviluppato un'apprezzabile opera di mediazione e di responsabilizzazione nei confronti dei leader politici di etnia albanese della Macedonia e del Kosovo. Obiettivo primario di questo sforzo diplomatico – che ha anche portato a ripetuti contatti diretti tra i Ministri degli Esteri Milo e Kerim – è stato quello di ribadire la totale estraneità di Tirana dagli eventi macedoni e confermare il pieno sostegno alla sovranità della Macedonia.
L'Unione Europea ha affrontato il problema nel Consiglio Affari Generali del 19 marzo scorso, cui hanno preso parte anche il Segretario Generale della NATO Robertson ed il Ministro degli Esteri macedone Kerim. Nel ribadire l'inviolabilità dei confini internazionalmente riconosciuti nella regione e la sovranità nonché l'integrità territoriale della Macedonia come Stato unitario multi-etnico, l'UE ha sostenuto il Governo macedone invitandolo comunque a perseverare nella sua posizione di equilibrio e a promuovere misure interne necessarie a favorire il dialogo interetnico. A tale riguardo, ricorda che la Presidenza ha indicato in un documento di lavoro alcune linee di intervento dell'UE, dal sostegno al dialogo politico, ad una maggiore integrazione delle minoranze, al sostegno alla missione OSCE, al sostegno finanziario alle regioni occidentali della Macedonia. Tali linee sono state fatte proprie dal Consiglio affari generali e sono alla base della missione che l'Alto Rappresentante Solana ha compiuto ieri a Skopje. Sempre in tale ottica è prevista la visita della "Troika" a livello ministeriale nella capitale macedone, nella giornata di domani.
Per quanto riguarda l'Alleanza atlantica, si è tenuto il 19 scorso un colloquio al Quartier Generale della NATO tra il Ministro degli Esteri macedone, Kerim e il Segretario Generale Lord Robertson. Il ministro Kerim, nell'esprimere apprezzamento per l'attività della NATO, ne ha peraltro auspicato un più deciso impegno. Da parte sua, Lord Robertson ha fornito assicurazioni che la KFOR metterà in atto ogni misura possibile per garantire un effettivo controllo della frontiera tra la Provincia iugoslava del Kosovo e la Macedonia, dal lato del Kosovo. Egli ha peraltro precisato che non vi è per ora intenzione di chiedere alle Nazioni Unite un mandato per operare sul versante macedone del confine.
Nel quadro delle Nazioni Unite, nella giornata odierna o al più tardi domani, dovrebbe essere approvata, su iniziativa britannica fortemente sostenuta dall'Italia, una forte risoluzione di condanna delle azioni armate condotte dagli estremisti di etnia albanese e di pieno sostegno al Governo Macedone, così come a quello iugoslavo. Parimenti positiva è l'introduzione nel progetto di risoluzione, su precisa richiesta italiana, di un riferimento al costruttivo ruolo svolto dall'Albania.
Anche la Federazione Russa può naturalmente giocare un ruolo significativo per favorire uno sbocco positivo alle tensioni in atto nell'area. In questo contesto, si registra con favore l'iniziativa presa da Mosca di inviare il Ministro degli Esteri Ivanov nella regione. L'Italia è in stretto contatto con la diplomazia russa ai fini di possibili iniziative internazionali.
In tale contesto l'Italia, in raccordo con gli altri partner europei e con i principali alleati, segue con viva attenzione gli eventi. Come anche da lui stesso sottolineato durante la visita che ha compiuto lo scorso 9 marzo a Skopje, vi è infatti piena consapevolezza dei rischi che le violente azioni condotte da gruppi estremisti di etnia albanese possono comportare per la stabilità del Paese e per la sicurezza dell'intera area.
La soluzione dei problemi in corso deve passare attraverso il ricorso al dialogo, in un percorso istituzionale e politico basato sul rispetto dell'integrità della struttura statuale e dell'inviolabilità delle frontiere e nel quale possano trovare naturale espressione le esigenze proprie di un Paese che si fonda sulla pacifica coesistenza di più comunità etniche; proprio per questa ragione è apprezzabile l'atteggiamento responsabile tenuto da Skopje. In questa prospettiva, l'Italia si attende che possa essere promosso un più ampio coinvolgimento della locale collettività albanese nelle istituzioni pubbliche e sul piano culturale e linguistico, che possa riflettere anche sul piano locale gli equilibri opportunamente raggiunti a livello centrale grazie all'associazione alle responsabilità governative del maggior partito di etnia albanese.
Contestualmente, l'Italia ha già rappresentato, e continuerà a farlo in ogni possibile occasione, ai responsabili politici della comunità albanese residente in Kosovo, l'assoluta necessità di troncare ogni legame, anche indiretto, con i gruppi armati che stanno operando nella zona nord della Macedonia.
Ricorda infine che l'Italia è fortemente impegnata, nel quadro delle attività messe in atto dalla comunità internazionale, nonché sul piano bilaterale, per favorire processi di crescita economica e sociale, in un disegno di stabilizzazione e di ricostruzione che possa favorire una sempre più convinta integrazione della minoranza albanese nei vari livelli di responsabilità.
Per quanto riguarda la delicata questione della Valle di Presevo, negli ultimi giorni si è assistito ad un duplice importante progresso. Da un lato, è stato firmato, il 13 marzo, un cessate il fuoco tra i gruppi armati di etnia albanese e le forze jugoslave dietro mediazione della NATO, tramite il rappresentante speciale di Lord Robertson, Feith; dall'altro, la stessa NATO ha deciso di restringere la "Ground Safety Zone" permettendo un rientro delle forze iugoslave – militari e di polizia con armamento leggero – nella zona a ridosso del confine con la Macedonia per una porzione di 5 chilometri, dove, a partire dal 14 marzo, sono rientrati circa 1.000 elementi. A tale primo atto seguono, in concomitanza con l'andamento delle trattative tra Belgrado e rappresentanti dell'etnia albanese, progressivi reingressi iugoslavi in altre zone smilitarizzate.
In concomitanza con tale processo, si sta dispiegando una presenza di monitoraggio internazionale, gestita dall'UE attraverso gli osservatori dell'EUMM, anche in relazione alla disponibilità manifestata dalla NATO di svolgere un'azione di tutela degli osservatori attraverso la KFOR.
Il dispositivo sopra descritto mira a creare le condizioni per una soluzione politica della crisi nella Valle di Presevo, da trovarsi attraverso contatti diretti tra Belgrado e l'etnia albanese della Serbia Meridionale. A tal riguardo colloqui dovrebbero essere avviati in questi giorni tra i rappresentanti di Belgrado e rappresentanti albanesi, inclusi alcuni elementi dei gruppi armati. Sul tavolo vi sono due proposte: quella della Repubblica federale di Iugoslavia – cosiddetto "Piano Covic" dal nome del Vice Primo Ministro serbo – e quella della comunità albanese. La comunità internazionale, dalla UE, all'ONU, alla NATO, ha espresso apprezzamento per il Piano Covic, che è stato considerato una buona base di partenza per le discussioni. Esso propone un'azione fondata sulla partecipazione congiunta delle due comunità etniche nella composizione pacifica della crisi e nel rispetto dell'integrità della Iugoslavia, sulla prospettiva di smilitarizzare l'area di Presevo e sul miglioramento delle condizioni degli abitanti della valle.
In questa cornice l'Italia sta perseguendo una strategia impostata su due direttrici: da un lato vi è l'incoraggiamento a Belgrado sulla strada di una composizione non traumatica delle tensioni in atto nella Valle, che passi anche attraverso un maggior coinvolgimento della locale comunità albanese nelle strutture amministrative e di sicurezza locali ed un ineludibile e oramai urgente ricambio delle forze polizia e militari iugoslave che risultassero compromesse con il passato regime. Dall'altro, non si manca di sottolineare ai responsabili politici albanese-kosovari l'esigenza di recidere i legami eventualmente ancora in essere con gli estremisti albanesi operanti in Serbia Meridionale, nella consapevolezza che nell'attuale nuovo contesto democratico iugoslavo il dialogo politico sia l'unica via percorribile.
D'altro canto, la situazione nella stessa Provincia del Kosovo permane assai tesa, come dimostrano anche i recenti incidenti a Mitrovica. Da parte della presenza internazionale continuano gli sforzi congiunti della KFOR e dell'UNMIK per creare un'atmosfera ed un ambiente favorevoli ad una progressiva applicazione della Risoluzione n. 1244 per creare una classe dirigente locale cui devolvere le funzioni provvisorie di autogoverno.
Nell'esprimere apprezzamento per l'azione del Rappresentante Speciale Haekkerup, il Governo italiano non ha mancato di ribadire la necessità di un pieno coinvolgimento di tutte le comunità kosovare: più specificamente, per quanto concerne lo svolgimento delle elezioni generali kosovare, esse dovrebbero aver luogo quando sussisteranno condizioni politiche appropriate, dalla definizione dei futuri organi di autogoverno, alla partecipazione di tutte le comunità della Provincia allo scrutinio, alla sicurezza e libertà di movimento anche della comunità serba. L'Italia sottolinea inoltre l'importanza dell'affermazione di condizioni di maggiore fiducia, attraverso misure quali una vasta amnistia per i prigionieri albanese-kosovari detenuti in Serbia, serie ed approfondite ricerche sulla sorte delle persone scomparse e, quando le condizioni di sicurezza lo permetteranno, progressivo rientro in Kosovo dei rifugiati nella Repubblica Federale iugoslava.
Sulla questione dei rapporti con il Tribunale Penale Internazionale, pur nella consapevolezza delle difficoltà interne della dirigenza della Repubblica Federale Iugoslava, l'Italia ritiene essenziale che sia mantenuto un approccio di carattere costruttivo e collaborativo con l'Aja. In tale ottica si registrano alcuni segnali significativi, dalle affermazioni del Presidente Kostunica negli incontri avuti con la "Troika" a Belgrado lo scorso febbraio, in cui egli ha evocato la possibilità di aprire in tempi brevi un procedimento penale nei confronti di Milosevic, ai recenti arresti di persone fortemente implicate in attività del passato regime, alle ripetute affermazioni di responsabili politici serbi, quali lo stesso Primo Ministro Djindjic, in favore della sottoposizione di Milosevic a processo.

Il presidente MIGONE, dopo aver espresso apprezzamento per l'esposizione del Sottosegretario, rileva come la delicatezza della crisi in atto non derivi soltanto dalla presenza di significativi rischi di una sua deflagrazione, ma anche dalle implicazioni che essa comunque comporta per l'evoluzione del ruolo della NATO e dell'Unione europea.
Al riguardo, giova ricordare come l'Italia, sia a livello di Governo che di Parlamento, abbia a suo tempo assunto sulla situazione balcanica una posizione la cui lungimiranza esce suffragata alla luce degli eventi successivi. Intende riferirsi, in particolare, al nodo dell'atteggiamento da tenere nei confronti dell'ala estremista delle forze indipendentiste operanti in Kosovo.
Su tale questione, sin dalla Conferenza di Rambouillet si manifestò una disparità di vedute tra l'Italia e gli Stati Uniti, i quali non mancarono di manifestare il loro disappunto, in particolare, rispetto alle posizioni assunte al riguardo dal ministro Dini.
In effetti, il Governo italiano evidenziò in modo tempestivo, senza con ciò mettere in causa l'esigenza dell'intervento della NATO, come una dichiarazione di indipendenza avrebbe potuto avere in quel contesto geografico effetti dirompenti, e come alcune forze estremistiche dell'UCK, peraltro incoraggiate anche materialmente da parte degli USA, svolgessero un ruolo gravemente destabilizzante.
D'altra parte, l'esistenza di forti elementi di ambiguità nell'ambito della dirigenza dell'UCK sull'accettazione della convivenza multietnica risulta da tempo piuttosto evidente. In proposito, ricorda di aver ricevuto, in occasione di una missione in Kosovo svolta dall'Assemblea parlamentare della NATO all'indomani del conflitto, risposte molto elusive dal leader dell'UCK Thaqi circa l'utilizzo della violenza politica contro i serbi nel Kosovo.
A seguito del moltiplicarsi degli episodi di infiltrazione di formazioni armate attraverso le zone di confine, tanto in Macedonia che nella Serbia meridionale, sembra affermarsi tra gli alleati dell'Italia che avevano dato prova di maggiore apertura nei confronti delle tendenze indipendentiste una maggiore consapevolezza della necessità di attenersi ad un atteggiamento più equilibrato, anche per evitare che coloro che sono stati nel recente passato perseguitati possano trasformarsi in persecutori e che siano quindi compromesse le possibilità di una convivenza interetnica.
In uno scenario in cui si manifestano forti tensioni, occorre peraltro dare atto a Tirana di aver mantenuto una posizione ispirata a notevole equilibrio.
Le considerazioni svolte dal Sottosegretario appaiono nel complesso condivisibili, anche se è lecito dubitare che il livello di impegno da esse prefigurato sia sufficiente a fronteggiare i possibili sviluppi.
In particolare, la scelta di affidare alle autorità di Belgrado il compito di ripristinare la sicurezza delle zone di frontiera, pur con le cautele ed il gradualismo definite dal comando della KFOR, potrebbe innescare pericolosi scontri, in quanto comporta il contatto diretto tra formazioni di etnia serba e albanese-kosovara. Appare verosimile quindi che la NATO veda chiamata in causa la sua capacità di svolgere azioni di sicurezza collettiva, in conformità al nuovo concetto strategico dell'alleanza, tanto più in presenza di un possibile indirizzo di disimpegno degli USA.
In tale quadro, è necessario interrogarsi sull'opportunità di una più diretta assunzione di responsabilità da parte dell'Europa, attraverso gli strumenti dell'identità di sicurezza e di difesa nell'ambito della NATO, nonché attraverso le istituzioni comunitarie.
E' augurabile che le presenti tensioni siano destinate a risolversi ma resta ineludibile una più diretta assunzione di responsabilità nei termini testé prospettati, che del resto viene sollecitata tanto da Belgrado e da Skopje. In proposito, sarebbe improprio ritenere preclusa la possibilità di un'incisiva azione europea in rapporto a difficoltà di politica interna nell'ambito della nuova amministrazione americana.

Il senatore SERVELLO rileva come la situazione nei territori dell'ex Iugoslavia quale è stata descritta dal sottosegretario Ranieri presenti caratteri di notevole complessità che mal si prestano alla sperimentazione di nuovi modelli operativi da parte della NATO e dell'Unione europea. A tale riguardo, rileva come la difficoltà di affidare alla NATO un ruolo più diretto nel ripristino di condizioni di sicurezza risulti confermata dalla circostanza che la crisi è stata innescata proprio dall'impossibilità dei contingenti internazionali di garantire il controllo della frontiera nell'area adiacente alla Valle di Presevo.
La situazione dà comunque adito a numerosi interrogativi che si augura possano trovare almeno in parte risposta nell'odierna seduta. In primo luogo occorre interrogarsi sull'eventuale esistenza di appoggi internazionali alle iniziative militari poste in essere dall'ala estremista dell'UCK, magari ad opera di ambienti interessati a provocare il collasso della Macedonia.
Sarebbe opportuno al riguardo chiarire quale sia l'atteggiamento del governo albanese rispetto a tale prospettiva, e quale sia la posizione del leader kosovaro Rugova.
Ai fini di una valutazione circa i futuri assetti nei Balcani, appare poi essenziale verificare se il Montenegro intenda perseguire fino in fondo la strada della secessione annunciata dal suo Presidente, pur in presenza di un orientamento nettamente contrario da parte della comunità internazionale.
Appare inoltre necessario verificare se, e in che misura, il Kosovo sia divenuto un vero e proprio santuario della criminalità internazionale.
Alla luce del quadro da lui testé richiamato, occorre interrogarsi sulla possibilità di dar corso ad una assunzione di più diretta responsabilità da parte dell'Unione europea e, dell'Italia in particolare, nei territori della ex Iugoslavia, nei termini prospettati dal presidente Migone.
Domanda infine quale sia la valutazione del comando della KFOR sugli aspetti militari della crisi.

Il senatore ANDREOTTI ritiene che un'analisi della spirale di violenze nel Kosovo e in Macedonia non possa prescindere dalla ricerca degli obiettivi che si sono posti i movimenti armati albanesi. E' certo che l'UCK non ha mai smobilitato, ma continua la sua attività con la stessa determinazione dimostrata durante il conflitto; inoltre anche il leader indipendentista Rugova non può ignorare gli orientamenti indipendentisti di larga parte della popolazione. In tale contesto le autorità di Tirana potrebbero dare un grande contributo alla stabilizzazione, chiarendo in maniera definitiva e inequivocabile che non appoggiano alcun progetto volto a creare una "grande Albania".
L'eventuale dichiarazione di indipendenza del Kosovo non contribuirebbe certo a facilitare una soluzione della complessa questione balcanica, tanto più che impedirebbe il ritorno dei kosovari di nazionalità serba. Inoltre restano tuttora irrisolti alcuni problemi creati dai precedenti conflitti, come il ritorno dei rifugiati serbi nei territori della Croazia. Benché previsto dagli accordi di Dayton, il ritorno non si è realizzato se non in minima parte, come ha attestato durante la sua audizione nelo scorso ottobre la signora Sadako Ogata, allora Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
Osserva poi che la NATO non ha alcuna competenza a promuovere o a partecipare ad azioni di peace keeping, come risulta chiaramente dal trattato istitutivo, stravolto sostanzialmente con il "nuovo concetto strategico" che il Consiglio atlantico approvò nel 1999. Peraltro non è stato possibile per il Parlamento italiano chiarire la natura giuridica di quel documento, nonostante le numerose iniziative assunte in proposito. E' comunque preferibile che sia l'OSCE ad occuparsi della gestione - e soprattutto della prevenzione - dei conflitti in territorio europeo, anche perché in quella organizzazione è possibile una reale collaborazione tra l'Occidente e la Russia.

La senatrice SQUARCIALUPI ricorda che, nel corso di una recente visita di una delegazione del Senato al SIPRI di Stoccolma, prestigioso centro di studi strategici, si parlò della Macedonia come di un esempio della possibilità di prevenire i conflitti. E' comunque chiaro che nessuna politica di prevenzione potrà avere successo se non vi sarà un forte sostegno allo sviluppo economico della regione balcanica, come l'Italia si propone di fare con la legge definitivamente approvata dal Senato lo scorso 8 marzo.
Quanto alla posizione dell'Albania, non si possono avere dubbi sull'atteggiamento moderato del governo di Tirana, ma bisogna vigilare con la massima attenzione sull'incoraggiamento che può venire ai movimenti estremisti da parte di singole forze politiche. Occorre altresì monitorare con grande attenzione le elezioni che si svolgeranno nei prossimi mesi in Montenegro e nel Kosovo.
La senatrice Squarcialupi sottolinea poi l'opportunità di un maggiore impegno dell'Unione europea, sia sotto il profilo militare che nell'invio degli aiuti economici. Rileva gli ottimi rapporti tra la Macedonia e la Bulgaria, che ha recentemente fornito anche materiale di armamento, e domanda se vi siano state forniture militari da parte dell'Italia, nell'ambito dell'accordo di cooperazione in materia di difesa recentemente ratificato.

Il senatore LAURICELLA, pur apprezzando le azioni intraprese dall'Italia e dall'Unione europea per la stabilizzazione dei Balcani, osserva che la situazione complessiva in quella regione è peggiorata dopo il conflitto bellico del 1999, per le difficoltà incontrate nel rientro dei profughi e per le frequenti incursioni di formazioni armate kosovare in Macedonia o nella valle di Presevo. Si è così determinata una situazione esplosiva, che finora non ha provocato le conseguenze temute solo perché le autorità serbe hanno dato prova di grande responsabilità; tuttavia è ovvio che gli eventi precipiterebbero, se prendesse corpo l'ipotesi di creare una "Grande Albania".
In definitiva, l'intervento militare contro la Federazione iugoslava non ha risolto il problema del Kosovo, che deve essere affrontato ora con azioni politiche ed economiche di largo respiro. In particolare, auspica che l'Italia si faccia promotrice di massicci investimenti di capitali nei paesi balcanici, nonché di un'apertura da parte dell'Unione europea che indichi a tali Stati la prospettiva di una possibile adesione nel medio periodo.

La senatrice DE ZULUETA esprime forte preoccupazione per la possibilità di una terza guerra balcanica, dopo quelle già combattute in Bosnia e nel Kosovo, anche in considerazione del probabile coinvolgimento della NATO, che attualmente schiera nella regione circa 40.000 militari con sistemi d'armamento qualitativamente elevati. Peraltro tale presenza militare voleva essere una garanzia di sicurezza per tutte le popolazioni dell'area balcanica, che sarebbero gravemente disorientate se l'Alleanza atlantica non riuscisse a prevenire lo scoppio di un nuovo conflitto.
Probabilmente la comunità internazionale paga adesso gli errori commessi dopo la guerra del Kosovo, quando i vertici dell'UCK erano gli interlocutori privilegiati del rappresentante dell'ONU e della stessa NATO, che usava l'estremismo albanese per destabilizzare Milosevic. Inoltre si è determinata negli ultimi tempi una singolare situazione, in cui la KFOR - e in particolare il contingente degli Stati Uniti - sembra sottoposta al ricatto degli estremisti kosovari, i quali ben sanno che l'opinione pubblica occidentale non potrebbe accettare gravi perdite tra i militari NATO in seguito ad attentati.
Occorre dunque un chiarimento sugli scopi della missione, al fine di eliminare ogni ambiguità che farebbe il gioco di chi si oppone alla prospettiva di un Kosovo dotato di larga autonomia, all'interno della Federazione iugoslava. Contemporaneamente è necessario ripristinare la legalità in questa regione, ponendo fine a tutte le violenze e ai traffici illeciti che la devastano. Tali obiettivi possono essere raggiunti soltanto con un forte sostegno da parte della NATO e delle Nazioni Unite.
Infine auspica che le elezioni in territorio kosovaro avvengano soltanto quando si sarà creato un clima di fiducia nella popolazione, che consenta un'effettiva partecipazione democratica. A tal riguardo, osserva però che le "Kosovo's wide elections" previste dalla risoluzione 1244 dell'ONU non possono essere intese come elezioni generali, poiché con tale espressione si indica l'elezione di assemblee rappresentative in uno Stato sovrano.

Il senatore VERTONE GRIMALDI ritiene che sia giunto il momento di domandarsi il perché dell'inarrestabile processo di disintegrazione dell'ex Iugoslavia. Senza voler indulgere alle grandi dietrologie di quei politologi che considerano possibile un ritorno alle sfere di influenza che in passato appartennero all'Impero ottomano e a quello austro-ungarico, si deve comunque prendere atto dell'esistenza di interessi imponenti che si oppongono alla stabilizzazione dei Balcani. Mentre l'Unione europea nel suo complesso non dimostra di avere un'idea precisa sul futuro di questa regione, gli Stati Uniti sembrano accontentarsi di un livello minimo di stabilità, che non risolverebbe alcuna delle questioni che dividono gli Stati balcanici.
Intanto, nel vuoto della legalità, si è sviluppato un volume incredibile di affari illeciti, che vanno dal traffico di droga al contrabbando dei tabacchi: vi è ormai in questi Stati un'economia di tipo criminale, che sarebbe incompatibile con un processo di democratizzazione. A questo punto la comunità internazionale deve chiedersi cosa può fare per spezzare questa terrificante aggregazione di interessi, che ha portato alla nascita di Stati etnico-criminali, offrendo alle popolazioni la prospettiva di uno sviluppo alternativo.

Replica il sottosegretario RANIERI, sottolineando anzitutto che nell'ultimo decennio la Macedonia ha rappresentato realmente un'eccezione nella generale situazione di disgregazione dell'ex Iugoslavia e dell'Albania, grazie anche alla presenza di un contingente internazionale che ha svolto un'efficace missione di prevenzione di conflitti. Si deve dare inoltre atto al presidente Gligorov, artefice dell'indipendenza, di aver saputo garantire la coesistenza pacifica in una società multietnica, cooptando al governo i partiti più rappresentativi della minoranza albanese. A differenza che nel Kosovo, dove vi era un regime di apartheid ai danni dell'etnia di gran lunga più numerosa, in Macedonia esistevano le condizioni politiche per evitare il conflitto e la disgregazione. Tuttavia gli estremisti albanesi tentano ugualmente di innescare una pericolosissima spirale di violenza, ponendo in essere attentati e attacchi armati che hanno l'evidente finalità di scatenare una repressione da parte delle autorità macedoni. In tale contesto è di grande importanza la solidarietà politica che la NATO e l'Unione europea hanno espresso verso il legittimo governo di Skopje, nonché la svolta politica di Belgrado che non mancherà di esercitare un'influenza positiva su tutta la regione balcanica.
E' però essenziale che la comunità internazionale aiuti la Macedonia a controllare la frontiera con il Kosovo e la Valle di Presevo - al fine di arrestare le infiltrazioni di estremisti albanesi - e invii cospicui aiuti economici in tutti i territori direttamente o indirettamente colpiti dal recente conflitto.
Il Sottosegretario fa poi presente alla senatrice Squarcialupi che nessun leader politico di Tirana si è dichiarato favorevole al progetto della "Grande Albania" e, in relazione all'intervento della senatrice de Zulueta, sottolinea che l'intera opinione pubblica kosovara ritiene impossibile tornare alla convivenza con i serbi e punta al riconoscimento dell'indipendenza. Ciò costituisce un problema reale, che la comunità internazionale dovrà tentare di gestire con equilibrio e lungimiranza, contando anche sul pieno appoggio del governo italiano.

Il presidente MIGONE ringrazia il sottosegretario Ranieri e dichiara chiuso il dibattito sulle dichiarazioni del Governo.

La seduta termina alle ore 17,10.