GIUSTIZIA (2ª)

MARTEDI' 24 APRILE 2001
725ª Seduta


Presidenza del Presidente
PINTO


Interviene il sottosegretario di Stato alla giustizia Maggi.

La seduta inizia alle ore 9,35.


Il presidente PINTO, constatata l'assenza del numero legale previsto dall'articolo 30, comma 1, del Regolamento per procedere all'esame degli argomenti iscritti all'ordine del giorno, sospende la seduta a norma del comma 5 dello stesso articolo 30.

La seduta, sospesa alle ore 9,40 è ripresa alle ore 10,20.


Il presidente PINTO, accertata ancora una volta la mancanza del numero legale previsto dall'articolo 30, comma 1 del Regolamento, sospende nuovamente la seduta.

La seduta, sospesa alle ore 10,25 è ripresa alle ore 10,45.


IN SEDE CONSULTIVA SU ATTI DEL GOVERNO

Schema di decreto legislativo recante disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n.300 (n. 930)
(Parere al Ministro per i rapporti con il Parlamento, ai sensi degli articoli 11 e 14 della legge 29 settembre 2000, n.300. Esame. Parere favorevole con osservazioni)

Riferisce il senatore PETTINATO il quale illustra la seguente proposta di parere:
La Commissione Giustizia del Senato, esaminato lo schema di decreto legislativo in titolo, esprime le seguenti osservazioni:

L’introduzione nell'ordinamento italiano di una compiuta disciplina della responsabilità dei soggetti diversi dalle persone fisiche per i fatti illeciti connessi alla loro attività è indispensabile, al fine di colmare una lacuna che appare sempre più vistosa in relazione, soprattutto, al processo di integrazione degli ordinamenti giuridici dei paesi facenti parte dell'Unione europea.
Lo schema all'esame propone, in questo senso, un vero e proprio sottosistema normativo in grado di inquadrare in termini organici e di coerenza sistematica il fenomeno della responsabilità delle persone giuridiche, venendo così a costituire un punto di riferimento per qualsiasi successivo intervento del legislatore in tale ambito.

A) Ciò premesso, va subito osservato che lo schema proposto non è esente da profili problematici, tra i quali il primo è certamente rappresentato dalla scelta del legislatore delegato di escludere dalla sfera di applicazione della normativa delegata i reati indicati nelle lettere b), c) e d) del comma 1 dell'articolo 11 della legge delega, che il Parlamento aveva esplicitamente e consapevolmente introdotti nel testo.
Questa soluzione non è, in nulla, condivisibile.
Sul punto occorre, innanzitutto, sgombrare il campo da qualsiasi equivoco circa l'asserita esistenza di un contrasto fra le due Camere. Deve, infatti, essere osservato che, dei due ordini del giorno sull’argomento, soltanto quello che impegna il Governo all’esercizio integrale della delega è stato posto ai voti, ed approvato dall'Assemblea del Senato, nella seduta del 19 settembre 2000; l'altro ordine del giorno, cui si fa riferimento nella relazione di accompagnamento dello schema, è stato solamente accolto dal Governo, nel corso dell'iter presso la Camera dei Deputati, con una decisione che, nel merito, non può in alcun modo considerarsi opportuna, ma che, in tutta evidenza, appare ispirata a finalità del tutto contingenti legate all'andamento del dibattito dell'Aula; la lettura degli atti parlamentari mostra, in questo senso, chiaramente come l’accettazione dell’ordine del giorno da parte del Governo abbia avuto unicamente lo scopo di conservare al testo del disegno di legge le importanti integrazioni contenute nelle lettere b), c) e d) del comma 1 dell’articolo 11, evitando la votazione di un emendamento soppressivo, verosimilmente in un momento in cui le presenze in Assemblea consigliavano che non si procedesse a quel voto.
Le ragioni, poi, esposte a favore di una particolare cautela nell'introdurre nell'ordinamento italiano questa nuova forma di responsabilità, pur se in via di principio condivisibili, erano a suo tempo state attentamente considerate dal legislatore delegante, dal momento che l'elencazione contenuta nella lettere a), b), c) e d) del comma 1 dell'articolo 11 della legge delega rappresenta già una soluzione minimale, se confrontata con l'esperienza di molti paesi stranieri (si pensi in particolare ai paesi di common law e alla Francia) o con il complesso delle indicazioni contenute in atti già adottati in sede internazionale; ovvero, ancora, con la stessa proposta contenuta nel progetto di riforma del codice penale elaborato dalla cosiddetta "Commissione Grosso" (si veda in particolare l'articolo 123 del progetto).
Peraltro, l'impostazione prescelta dal Governo suscita forti dubbi e perplessità laddove esclude la responsabilità degli enti per ipotesi di reato che – come evidenziato nella stessa relazione governativa – costituiscono "la più grave forma di proiezione negativa derivante dallo svolgimento dell'attività di impresa". Esemplificando, risulta, infatti, difficilmente comprensibile il motivo per cui, a fronte del chiaro dettato della norma di delega, si sia ritenuto opportuno prevedere l'irrogazione di determinate sanzioni a carico di un ente, qualora nel suo interesse o a suo vantaggio sia stata posta in essere un'ipotesi di corruzione o di truffa ai danni dello Stato, e di escludere, invece, l'applicabilità di tali sanzioni quando, nell'interesse o a vantaggio dell'ente medesimo, siano stati compiuti reati, come l'adulterazione o la contraffazione di sostanze alimentari, il commercio delle medesime, la rimozione o l'omissione di cautele contro gli infortuni sul lavoro, ovvero rilevanti violazioni in materia ambientale, nonostante la loro rilevante gravità , la loro tipica connessione con l'attività di impresa ed, infine, la particolare potenzialità di tali condotte a colpire direttamente interessi rilevanti, e diritti riconosciuti e tutelati, della generalità dei cittadini , con riflessi gravi ed immediati sulla loro sicurezza, sulla loro salute, sulla loro stessa integrità fisica.
Né può condividersi il ragionamento che vuole la limitazione della sfera di applicabilità della nuova disciplina finalizzata allo scopo di favorire “ il progressivo radicamento di una cultura aziendale della legalità”, innanzi tutto perché si tratta di materia sulla quale l’attenzione e la sensibilità dei cittadini sono particolarmente acuite ed allarmate, in relazione ad inquietanti vicende, direttamente connesse ad attività imprenditoriali per nulla ispirate alla cultura della legalità; per altro verso – poiché la scelta operata finisce per soddisfare in toto le richieste, pubblicamente e rumorosamente avanzate dalle categorie interessate, richieste che più probabilmente costituiscono segno ulteriore dell'insufficienza di tale cultura della legalità e della esistenza di forti resistenze a praticarla - riesce difficile comprendere come dalla rinuncia a legiferare, e nel caso in specie dalla esclusione della sanzione, possa derivare un radicamento di tale cultura, che al contrario troverebbe sicuro alimento in una disciplina normativa chiara e ferma.
Non vanno, infine, sottovalutati i possibili problemi di legittimità costituzionale che possono derivare dalla scelta fatta dal legislatore delegato. E’ vero che la giurisprudenza costituzionale ha rilevato che dall'esercizio parziale di una delega può, in linea di principio, derivare solo una responsabilità politica del Governo nei confronti del Parlamento, "ma non anche l'illegittimità costituzionale delle norme nel frattanto emanate, sempre che, per il loro contenuto, non siano tali da porsi in contrasto con i fini ed i principi della legge di delegazione" (si vedano Corte costituzionale, sentt. n. 41 del 1975 e n. 218 del 1987).
Da questo punto di vista, deve, perciò, evidenziarsi come la decisione di escludere la responsabilità degli enti per tutti i reati indicati nelle lettere b), c) e d) dell'articolo 11 della legge delega pregiudichi il complessivo equilibrio del sistema sanzionatorio delineato dal Parlamento, e ne contraddica radicalmente una finalità essenziale.
In conseguenza, la Commissione ritiene - in primo luogo - di poter esprimere parere favorevole sullo schema di decreto in titolo soltanto a condizione che la delega di cui all'articolo 11 della legge n. 300 del 2000 sia esercitata anche in relazione ai reati previsti dalle lettere b), c) e d) del comma 1, del medesimo articolo 11.

B) Avuto riguardo ai medesimi profili di possibile incostituzionalità da ultimo evidenziati, va richiamata l'attenzione sulla mancata attuazione dei principi e criteri direttivi contenuti nelle lettere t), u), v) e z) del comma 1 dell'articolo 11 della legge delega. In proposito, deve rivelarsi come le previsioni ivi contenute facciano parte integrante del complessivo disegno di delega e vadano inequivocamente ricondotte ad una ratio unitaria. Più specificamente, il legislatore delegante ha ritenuto di prendere atto della circostanza che, sotto il profilo sostanziale, le persone fisiche indicate nella predetta lettera t) sono i destinatari diretti delle sanzioni che vengono irrogate all'ente e si collocano in una posizione diversa da quella di qualsiasi altro soggetto che sia in rapporto con l'ente medesimo. Tanto considerato, ritenendo che tale soluzione fosse giustificata dall'esigenza di tener conto delle profonde differenze che esistono fra la posizione del socio, dell'azionista e dell'associato che abbiano avuto, anche astrattamente, la possibilità di influire sulle vicende che portarono alla commissione del reato, e la posizione di coloro che invece tale possibilità non avevano, si era giudicato necessario apprestare una disciplina ad hoc per i soci, gli associati e gli azionisti estranei all'illecito dell'ente.
A maggior ragione vanno allora richiamate, a questo proposito, le già citate pronunce della Corte costituzionale in tema di parziale attuazione della legge di delega, essendo innegabile, nel caso di specie, che la scelta del legislatore delegato esclude il soddisfacimento di un'esigenza di tutela che innegabilmente costituiva una finalità essenziale, tra quelle perseguite dal legislatore delegante.
Le previsioni di cui alle citate lettere t), u), v) e z) dell'articolo 11 mirano, infatti, a svolgere, sul piano obiettivo, una funzione di tutela del risparmio che dovrebbe adeguatamente controbilanciare i timori manifestati circa la loro operatività e il loro impatto sul sistema delle imprese.
In conclusione, la Commissione ritiene di poter esprimere parere favorevole sullo schema di decreto in titolo, a condizione che il Governo eserciti la delega, in riferimento alle lettere t), u), v) e z) dell'articolo 11, tenendo comunque conto delle esigenze di opportunità e di complessivo equilibrio del sistema ad esse sottese.

C) Relativamente alle disposizioni di cui agli articoli 6 e 7, commi 2, 3 e 4, si ritiene opportuno richiamare l'attenzione del Governo circa i rischi di un possibile eccesso di delega. Il carattere amministrativo della forma di responsabilità prevista dall'articolo 11 della legge n. 300 e la mancanza di una sicura base testuale (appare infatti assai opinabile la tesi affacciata nella relazione governativa secondo cui l'espressione "quando la commissione del reato è stata resa possibile dall'inosservanza degli obblighi connessi a tali funzioni" - contenuta nella lettera e) del comma 1 dell'articolo 11 - sarebbe da riferirsi anche ai soggetti in posizione apicale all'interno dell'ente, mentre appare più significativo il rilievo che laddove si è voluta prevedere – nella medesima lettera e) – una causa di esclusione della responsabilità dell'ente ciò è stato fatto dal legislatore delegante in maniera esplicita) non sembrano infatti lasciare spazio alla previsione di una specifica causa di esonero della responsabilità legata alla preventiva adozione di modelli organizzativi idonei ad evitare la commissione dell'illecito, delineata per di più sul presupposto di una responsabilità colpevole che è appunto propria dell'ambito penalistico, ma non di quello sanzionatorio amministrativo (vedi in questo senso Corte costituzionale sentenza n. 29 del 1961 e ordinanze n. 420 e 502 del 1987 e n. 159 del 1994. Si veda anche Corte Costituzionale, sentenza n. 250 del 1991, per l'indirizzo particolarmente restrittivo seguito dalla Corte nel valutare la conformità ai principi e criteri direttivi della legge di delega nella materia sanzionatoria, anche se con specifico riguardo all'ambito penalistico). Né può sostenersi che il legislatore sia costituzionalmente obbligato a costruire in termini di responsabilità colpevole il sistema delineato nello schema in esame. Visto il tipo di sanzioni previste per le persone giuridiche e considerato che in nessun caso esse incidono sulla libertà personale di singoli individui, la rigida attribuzione, a questa forma di responsabilità, dei caratteri propri della responsabilità penale - come individuati dall'articolo 27 della Costituzione - rappresenta, in astratto, una possibilità (che la formulazione della norma di delega in concreto esclude), ma certamente non un obbligo per il legislatore (in questo senso si veda – anche se con riferimento alla sola confisca – la già citata sentenza della Corte Costituzionale n. 29 del 1961).
D'altra parte, anche a voler accogliere l'impostazione - che, come accennato, non sembra comunque facilmente conciliabile con la lettera della norma di delega - di una responsabilità dell'ente che presenti i caratteri propri della responsabilità colpevole, è evidente che questa soluzione non implica l'esclusione della responsabilità dei vertici aziendali, qualora ricorrano le condizioni di cui all'articolo 6 dello schema .
Al riguardo, si veda il progetto elaborato dalla "Commissione Grosso" (ed in particolare l'articolo 126 ) e la relazione di accompagnamento allo stesso, dove, pur partendo dall'esplicita scelta di costruire la responsabilità dell'ente in termini di responsabilità colpevole, si prevede che l'adozione di idonei modelli organizzativi non escluda comunque la responsabilità dell'ente medesimo se l'autore del reato abbia avuto poteri di direzione, e se ne da ragionevolmente conto con la considerazione che l’elevato livello di poteri e di responsabilità dell’autore del reato, per il ruolo dirigente ricoperto nell’organizzazione , consente di identificare nella sua colpa la colpevolezza dell'organizzazione stessa.
In ogni caso, anche in linea di mero subordine rispetto alle precedenti considerazioni , sembrerebbe comunque opportuno prevedere l'applicabilità della confisca anche nell'ipotesi contemplata dall'articolo 7 dello schema, analogamente a quanto avviene in quella di cui all'articolo 6.

D) All'articolo 9, comma 2, alla luce delle considerazioni svolte in precedenza riguardo alla necessità che la delega venga esercitata anche per i reati di cui alle lettere b), c) e d) dell'articolo 11, si ritiene opportuno che venga prevista anche la sanzione interdittiva della chiusura dello stabilimento conformemente a quanto stabilito dal numero 1) della lettera e) del comma 1 dell'articolo 11 della legge n. 300 del 2000.

E) Con riferimento all'articolo 13, comma 2, non è del tutto chiaro se il carattere temporaneo delle sanzioni interdittive implichi una mancata attuazione delle delega per quel che concerne la sanzione della revoca delle autorizzazioni, licenze e concessioni di cui al n. 2 della lettera c) dell'articolo 11 della legge n. 300, in quanto tale sanzione non sembra poter avere carattere temporaneo.

F) Con riferimento all'articolo 17 dello schema, ed in particolare alla lettera a), si prospetta l'opportunità di considerare anche l'ipotesi in cui l'ente venga stabilmente utilizzato allo scopo prevalente ( e non solo all'unico scopo) di consentire o agevolare la commissione di reati in relazione ai quali è prevista la sua responsabilità.

G) Ancora all'articolo 17, sarebbe probabilmente opportuno precisare che nelle ipotesi ivi previste non trova applicazione il disposto dell'articolo 16.

H) Sempre all'articolo 17 non è del tutto chiaro per quale ragione l'applicazione in via definitiva del divieto di pubblicizzare beni o servizi possa avvenire solo nei casi in cui sia irrogata in via definitiva la sanzione del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione.

I) Anche all'articolo 23, sarebbe opportuno specificare che, nel caso di sanzioni interdittive applicate ai sensi di tale norma, non trova applicazione il disposto dell'articolo 16.

L) All'articolo 24 è dubbia l'opportunità della mancanza del riferimento alle comunità europee, dal momento che queste sono incluse fra i soggetti passivi dei delitti previsti dagli articoli 316-bis, 316-ter e 640-bis del codice penale.

M) All'articolo 47, nel procedimento per l'applicazione delle misure cautelari, non é esplicitamente previsto che il pubblico ministero depositi gli elementi su cui si fonda la sua richiesta, né che la parte nei cui confronti tale misura viene proposta possa prenderne visione. Sarebbe probabilmente opportuno introdurre un'esplicita previsione in questo senso. Ciò per evitare il rischio che il generale rinvio alle norme del codice di procedura penale possa esser ritenuto non utilmente utilizzabile a questo specifico riguardo, in considerazione del carattere innovativo della procedura prevista dal citato articolo 47.

N) All'articolo 78 (e conseguentemente all'articolo 31) sembrerebbe utile chiarire al di là di ogni dubbio (la lettera della previsione non esclude il sorgere di qualche equivoco) che la sanzione risultante dalla conversione si aggiunge alla sanzione pecuniaria originaria e stabilire, inoltre, che la disposizione in questione non si applica nei casi di cui all'articolo 17 e cioè quando le sanzioni interdittive sono applicate in via definitiva.

Il senatore RUSSO condivide integralmente la proposta di parere illustrata dal relatore Pettinato. Ritiene però più opportuno che le condizioni formulate alle lettere A) e B) della proposta di parere siano trasformate in una forte sollecitazione al Governo, ferma restando l'opportunità che il Governo dia attuazione alla delega contenuta nell'articolo 11 della legge n. 300 del 2000 nella maniera più completa.

Il relatore PETTINATO accoglie i rilievi testè svolti dal senatore Russo e si riserva di riformulare conseguentemente la proposta di parere.

Non essendovi ulteriori richieste di intervento, dopo che il presidente PINTO ha constatato la presenza del numero legale, la Commissione conferisce infine mandato al relatore Pettinato di redigere un parere favorevole con osservazioni nei termini risultanti nella proposta di parere illustrata e dallo svolgimento del dibattito.

Schema di decreto legislativo recante disposizioni correttive della Tabella A allegata al decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51, concernenti le competenze territoriali dei tribunali di Ascoli Piceno e di Taranto (n. 928)
(Parere al Ministro per i rapporti con il Parlamento, ai sensi dell'articolo 1, comma 4, della legge 16 luglio 1997, n. 254. Esame. Parere favorevole)

Riferisce il senatore CALVI che illustra i contenuti dello schema di decreto legislativo in titolo proponendo che la Commissione formuli su di esso un parere favorevole.

Concorda il sottosegretario di Stato MAGGI.

Non essendovi richieste di intervento, dopo che il presidente PINTO ha constatato la presenza del numero legale, la Commissione conferisce mandato al relatore Calvi di redigere un parere favorevole sullo schema di decreto in titolo.

Schema di decreto legislativo recante sanzioni in materia di commercio internazionale di specie animali e vegetali protette (n. 888)
(Parere al Ministro per i rapporti con il Parlamento, ai sensi dell'articolo 5 della legge 21 dicembre 1999, n. 526. Esame. Parere favorevole)


Riferisce il senatore RUSSO, in luogo del relatore designato senatore FOLLIERI, che illustra i contenuti del provvedimento in titolo e propone di esprimere su di esso un parere favorevole.

Non essendovi richieste di intervento, dopo che il presidente PINTO ha constatato la presenza del numero legale, la Commissione conferisce mandato al relatore facente funzioni di redigere una proposta di parere favorevole sullo schema di decreto legislativo in titolo.

La seduta termina alle ore 11,10.