che il 28 marzo 1998, a qualche ora dal suicidio nel carcere delle Vallette di Torino di Edoardo Massari, si è suicidata nel carcere femminile di Trani la detenuta Teresa Massari, di 34 anni, madre di un figlio, con lo stesso cognome ma non avente alcuna parentela con lo «squatter» di Torino; che il primo suicidio è stato oggetto di dibattiti, notizie e persino di cortei di piazza, mentre il secondo è rimasto quasi del tutto ignorato; che, comunque, il silenzio della morte della povera Teresa Massari non ha impedito di accertare che la stessa era stata ristretta nel carcere tranese nell’ottobre del 1997 per espiazione di un residuo di pena che sarebbe stata scontata nel luglio del 1998; che, tra l’altro, è stato accertato che la Massari era persona tossicodipendente, affetta da virus HIV, condannata per spaccio ed estorsione, reati connessi al suo stato di tossicodipendente; che, inoltre, si è appreso che l’OSAPP (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria) ha da tempo denunciato una situazione all’interno del carcere femminile di Trani di gravi carenze organizzative, con particolare riferimento alla mancata designazione di un comandante di reparto; che in ogni caso, indipendentemente da eventuali concause di disorganizzazione che abbiano potuto determinare anche la mancanza di un’adeguata attenzione verso la particolare situazione psicofisica della Massari, nonchè dell’eventuale sussistenza dei presupposti e delle condizioni per l’applicazione in favore della condannata delle disposizioni previste negli articoli 47 e 48-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, nel caso in questione appare sicuramente inosservata la norma dell’articolo 95 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, che testualmente dispone: «1. La pena detentiva nei confronti di persona condannata per reati commessi in relazione al suo stato di tossicodipendente deve essere scontata in istituti idonei per lo svolgimento di programmi terapeutici e socio-riabilitativi. 2. Con decreto del Ministro di grazia e giustizia si provvede all’acquisizione di case mandamentali ed allo loro destinazione per i tossicodipendenti condannati con sentenza anche non definitiva.», si chiede di sapere: se e quali accertamenti siano stati disposti in ordine al suicidio di Teresa Massari nel carcere femminile di Trani; se e quali interventi si intenda adottare per risolvere le carenze organizzative lamentate dagli organismi sindacali; se e quanti provvedimenti siano stati sino ad oggi adottati dal Ministro finalizzati all’acquisizione di case mandamentali e allo loro destinazione per i tossicodipendenti condannati con sentenza anche non definitiva; se e quante di queste case abbiano avuto in Puglia una tale destinazione; perchè mai la Massari si trovasse a scontare un residuo di pena di pochi mesi in una struttura carceraria ordinaria; se il Ministero abbia in programma di potenziare la struttura di cui al citato articolo 95 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 o se, viceversa, intenda risolvere il problema delle tossicodipendenze privileggiando misure come quella della depenalizzazione o della legalizzazione delle droghe.
che, come note, le interrogazioni nn. 4-15630, 4-15666, 4-15820, 4-15823 e 4-16064 presentate dal giugno al luglio del 1999, tutte sinora rimaste senza risposta alcuna nonostante la gravità e la delicatezza del «caso Sezione Fallimenti» del tribunale di Bari; che in particolare l’anomalia della permanenza del dottor Saverio Nanna nella funzione di presidente del tribunale di Bari nonostante la chiara incompatibilità ambientale determinatasi a causa dell’indagine in corso (e sulla quale è caduto un silenzio tombale) e i conseguenti imbarazzati disagi di tutti gli «operatori» di giustizia; che la Curatela del Fallimento Leset esperì contro l’avvocato Bruno Volpe (ora sospeso dall’esercizio professionale) un sequestro conservativo ante causam; che detto ricorso fu depositato il 12 aprile 1999 assegnato dal presidente del tribunale Nanna nello stesso giorno e dal giudice designato accolto il 14 aprile; che l’avvocato Bruno Volpe ha a sua volta presentato ricorso ex articolo 669-octies del codice di procedura civile, sostenendo che il sequestro ha perso efficacia per il decorso di termini procedurali; che il Volpe afferma che nonostante sia trascorsa oltre una settimana dal deposito del ricorso non solo non è stata fissata la relativa udienza ma non è stato neppure designato un giudice che a tanto provveda; che l’assegnazione del giudice (o della sezione di cui il giudice designato è componente) spetta al Presidente del tribunale che – come è noto – è il dottor Saverio Nanna, direttamente coinvolto nelle indagini su dichiarazioni accusatorie dello stesso ricorrente avvocato Volpe; che il ritardo nella assegnazione del procedimento è posto dall’avvocato Volpe in comparazione della estrema rapidità con la quale il sequestro fu accolto ed origina nel cittadino Volpe sospetti di parzialità, si chiede di sapere: quali siano gli intendimenti del Ministro in relazione ai fatti di cui in premessa, previo accertamento immediato della loro eventuale fondatezza; se il Ministro abbia disposto la richiesta ispezione e, in caso negativo, quale ne sia il motivo; se nel corso dell’eventuale ispezione si abbia avuto modo di interpellare il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Bari e conoscerne il parere.
che le interrogazioni nn. 4-15630, 4-15666, 4-15820, 4-15823, 4-16064, 4-16583, presentate dallo scrivente continuano a rimanere senza risposta alcuna; che è facoltà del Ministro rifiutarsi di rispondere sul caso «sezione fallimenti del tribunale di Bari», si chiede di sapere se il Ministro intenda avere la cortesia di esplicitare tale rifiuto di rispondere onde consentire all’interrogante di trarre le doverose conseguenze politiche o se il Ministro stesso ritenga che sia più utile (anche se poco cortese) tenere l’interrogante «in campana» o se, infine, ancora il Ministro si sia visto rifiutare le risposte dai magistrati baresi cui certamente il suo Gabinetto si è rivolto.
che le interrogazioni 4-15630, 4-15666, 4-15820, 4-15823, 4-16064 e 4-16583 sono tutte rivolte al fine di diradare le nebbie che avvolgono il caso della sezione fallimentare del tribunale di Bari; che l’avvocato Bruno Volpe, prima della sospensione cautelare dall’albo degli avvocati di Bari, aveva in atto incarichi di curatore di numerosi fallimenti; che per tale funzione aveva maturato compensi e in particolare: per il fallimento Di Pinto aveva ricevuto a saldo lire 3.000.000, ma la metà di tale compenso la sezione vuole da lui recuperare giudizialmente in quanto eccedente la tariffa professionale; per il fallimento Leset l’avvocato Volpe aveva ricevuto a saldo lire 50.000.000 ma la sezione fallimenti oggi, ritenendo congruo un onorario di sole lire 10.000.000, ha ordinato al nuovo curatore di recuperare giudizialmente dall’avvocato Volpe la differenza di lire 40.000.000; che in entrambi i casi citati il giudice delegato che ha proposto ed ottenuto dalla sezione di liquidare all’avvocato Volpe somme di gran lunga maggiore di quanto a lui spettassero era sempre il dottor Nanna, allora presidente della sezione, oggi presidente del tribunale di Bari; che pertanto, a detta della stessa sezione fallimenti (ora composta da altri magistrati), fu il dottor Nanna a beneficiare l’avvocato Volpe di somme non dovute, a tutto danno dei creditori dei fallimenti citati; che la funzione del giudice delegato, ai sensi della legge sul fallimento, è quella di vigilare l’opera del curatore (articolo 25) e di redigere relazione sul compenso del curatore (articolo 39), si chiede di sapere se finalmente il Ministro in indirizzo ritenga o meno di occuparsi della vicenda, se questa volta si sia convinto della necessità di ordinare un’ispezione, se valuti positivamente l’opportunità di trasmettere le notizie di cui in premessa alla procura della Repubblica di Potenza che indaga sul dottor Nanna (ma dell’indagine non si conoscono gli sviluppi), onde consentire l’accertamento di eventuali nuove ipotesi delittuose.
che con precedente interrogazione sottoscritta con altri colleghi veniva posto il caso del dottor Nicola Silvestri, dirigente del Ministero della giustizia, con il profilo professionale di direttore coordinatore d’istituto penitenziario; che il caso suddetto consiste in un atteggiamento di lunga e reiterata azione persecutoria del Ministero, tanto ingiusta, quanto intollerabile, operata in danno del suddetto dirigente; che tale grave valutazione non è solo un’opinione degli interroganti, ma viene fatta propria nel corpo delle sentenze del TAR della Toscana e dei tribunali di Pistoia e Firenze che, a più riprese, censurano l’operato dell’amministrazione, sia sotto il profilo dell’abuso nei confronti del funzionario, sia sotto il profilo della violazione dei più elementari diritti della difesa, tanto che il Ministero è stato condannato a risarcire il danno subito dal Silvestri con la somma di lire 150 milioni, oltre gli interessi legali e rivalutazioni monetarie, danno che è stato risarcito non per iniziativa spontanea del Ministero ma in virtù di atto di pignoramento eseguito il 14 dicembre 1998 dall’ufficiale giudiziario giusto l’atto di precetto del tribunale di Pistoia del 1º dicembre 1998 per un importo di lire 183.804.054 oltre le spese ed altri oneri; che la lunga sequela dei provvedimenti del Ministero della giustizia contro il dottor Nicola Silvestri si è, dalla data della precedente interrogazione, ulteriormente «arricchita» con un arbitrario atto del provveditorato regionale del Ministero che, in data 7 maggio 1999 – immediatamente dopo la riassunzione del Silvestri nella piena titolarità della direzione della casa circondariale di Empoli – gli ha notificato una richiesta di sottoposizione a visita collegiale per l’accertamento del suo stato di salute e, quindi, per provvedere «alla dispensa dal servizio per sopravvenuta inabilità»; che, anche in questo caso, su ricorso dell’interessato, il tribunale penale e civile di Firenze, vista l’ampia documentazione prodotta dal ricorrente, ha sospeso il provvedimento del Ministero della giustizia dichiarandolo «palesemente illegittimo»; che il Silvestri presta puntualmente e regolarmente servizio alla direzione della casa circondariale di Empoli né si conoscono motivi validi per indurre il Ministero ad assumere siffatte e gravi iniziative; che questa lunga e paradossale battaglia legale ingaggiata dal Ministero sembra in verità abbia origine da presunte «difficoltà sorte tra la direzione dell’istituto penitenziario e le organizzazioni che operano sul territorio per la trattazione di affari di primaria importanza sociale e penitenziaria»; che tali difficoltà, con le organizzazioni che operano sul territorio, consistono in una esorbitante presenza all’interno del carcere di gruppi di animatori ed operatori di varia natura messi unilateralmente a disposizione dall’amministrazione provinciale di Firenze e dal comune di Empoli e da essi pagati; che l’istituto penitenziario di Empoli è un carcere femminile a «custodia attenuata» ospitante solo 13 detenute, a fronte di 48 agenti di polizia penitenziaria e 25 operatori sanitari fra infermieri, medici e psicologi con una media di 6 unità di personale per detenuto, rendendo con ciò inevitabilmente problematico il coinvolgimento di altri numerosi operatori provenienti dall’esterno, si chiede di sapere: quali provvedimenti si intenda assumere nei confronti dei funzionari che si sono resi protagonisti di provvedimenti pervicacemente illegittimi e contrari a sentenze passate in giudicato; se si ritenga opportuno promuovere una ispezione nei confronti del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, con particolare riguardo all’ufficio centrale del personale ed al provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria di Firenze; se, in ordine ai danni già liquidati al dottor Silvestri per circa 200 milioni, si intenda interessare gli organi di controllo dell’amministrazione, e specificamente la procura della Corte dei conti, affinché vengano valutate le conseguenti ipotesi risarcitorie nei confronti del Ministero della giustizia; come si valuti il rapporto esistente fra il numero delle detenute a custodia attenuata assegnate al carcere femminile di Empoli e le unità di personale di custodia ed assistenza ad esso assegnate, anche in relazione alla situazione di affollamento e di carenze di organico largamente diffusa nel nostro sistema carcerario.