che da poche ore è terminato in Senato il dibattito sulla giustizia; che il Ministro in indirizzo, nella predetta occasione, ha richiamato le proprie prerogative in materia disciplinare ricordando che la violazione della legalità gli impone l’esercizio di quel potere disciplinare; che i fatti che qui di seguito si espongono possono rappresentare l’occasione per verificare se detto potere verrà o meno esercitato; che il tribunale della libertà di Bari, su istanza proposta da un alto dirigente statale tendente al riesame dell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Foggia ha annullato l’ordinanza emessa dal predetto giudice per le indagini preliminari disponendo la scarcerazione dell’indagato per i reati di cui agli articoli 323-326 del codice penale; che va trascritta integralmente parte della ordinanza di annullamento: «... omissis ... infatti, non soltanto non si sono in alcun modo valutati gli elementi a favore dell’indagato e neppure si è voluto che egli fornisse i chiarimenti che pure si era dichiarato disposto a rendere e per i quali era già stata fissata la data dell’audizione da parte del pubblico ministero di Foggia ma, mentre si procedeva a suo carico per le ipotesi di reato di cui agli articoli 110-323-326 del codice penale, nell’eseguire un decreto di perquisizione domiciliare, veniva, nel corso del provvedimento, menzionata una imputazione, allo stato inesistente ex articoli 110-575 del codice penale, tale da elevare la pena edittale da qualche anno di reclusione alla massima pena detentiva prevista dal nostro ordinamento. Seguiva l’ordine restrittivo della libertà personale. Non va omesso di osservare che l’attività di indagine, ormai ferma da mesi, in relazione ai reati ex articoli 323-326, ma anche ex articolo 575, ad un certo momento riprendeva con la richiesta di ordinanza di custodia cautelare da parte del pubblico ministero in relazione ai soli reati ex articoli 323-326 con l’anomalia della menzione nel solo decreto di perquisizione dell’ipotesi di reato ex articolo 575. Il tribunale ritiene che sia compito di altre figure professionali che si occupano di sociologia, psicologia e filosofia del diritto il ripercorrere l’evoluzione delle tecniche di pressione sull’indagato al fine di ottenere una eventuale confessione del medesimo e pertanto si limita ad osservare che, in simili condizioni, l’indagato non soltanto non è posto in condizioni di difendersi da accuse gravissime non ritualmente contestate, ma è quasi obbligato ad ammettere una condotta illecita minore, al fine di evitare guai maggiori in grado di portarlo alla detenzione perpetua...»; che l’ordinanza inoltre non ravvisava le esigenze cautelari vantate non sussistendo i requisiti ex articolo 274, lettera A (periodo di reiterazione, pericolo di fuga, pericolo per le prove), si chiede di sapere se sia lecito attendersi un’azione disciplinare previa, se del caso, una ispezione ministeriale.
che il 28 marzo 1998, a qualche ora dal suicidio nel carcere delle Vallette di Torino di Edoardo Massari, si è suicidata nel carcere femminile di Trani la detenuta Teresa Massari, di 34 anni, madre di un figlio, con lo stesso cognome ma non avente alcuna parentela con lo «squatter» di Torino; che il primo suicidio è stato oggetto di dibattiti, notizie e persino di cortei di piazza, mentre il secondo è rimasto quasi del tutto ignorato; che, comunque, il silenzio della morte della povera Teresa Massari non ha impedito di accertare che la stessa era stata ristretta nel carcere tranese nell’ottobre del 1997 per espiazione di un residuo di pena che sarebbe stata scontata nel luglio del 1998; che, tra l’altro, è stato accertato che la Massari era persona tossicodipendente, affetta da virus HIV, condannata per spaccio ed estorsione, reati connessi al suo stato di tossicodipendente; che, inoltre, si è appreso che l’OSAPP (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria) ha da tempo denunciato una situazione all’interno del carcere femminile di Trani di gravi carenze organizzative, con particolare riferimento alla mancata designazione di un comandante di reparto; che in ogni caso, indipendentemente da eventuali concause di disorganizzazione che abbiano potuto determinare anche la mancanza di un’adeguata attenzione verso la particolare situazione psicofisica della Massari, nonchè dell’eventuale sussistenza dei presupposti e delle condizioni per l’applicazione in favore della condannata delle disposizioni previste negli articoli 47 e 48-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, nel caso in questione appare sicuramente inosservata la norma dell’articolo 95 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, che testualmente dispone: «1. La pena detentiva nei confronti di persona condannata per reati commessi in relazione al suo stato di tossicodipendente deve essere scontata in istituti idonei per lo svolgimento di programmi terapeutici e socio-riabilitativi. 2. Con decreto del Ministro di grazia e giustizia si provvede all’acquisizione di case mandamentali ed allo loro destinazione per i tossicodipendenti condannati con sentenza anche non definitiva.», si chiede di sapere: se e quali accertamenti siano stati disposti in ordine al suicidio di Teresa Massari nel carcere femminile di Trani; se e quali interventi si intenda adottare per risolvere le carenze organizzative lamentate dagli organismi sindacali; se e quanti provvedimenti siano stati sino ad oggi adottati dal Ministro finalizzati all’acquisizione di case mandamentali e allo loro destinazione per i tossicodipendenti condannati con sentenza anche non definitiva; se e quante di queste case abbiano avuto in Puglia una tale destinazione; perchè mai la Massari si trovasse a scontare un residuo di pena di pochi mesi in una struttura carceraria ordinaria; se il Ministero abbia in programma di potenziare la struttura di cui al citato articolo 95 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 o se, viceversa, intenda risolvere il problema delle tossicodipendenze privileggiando misure come quella della depenalizzazione o della legalizzazione delle droghe.
che con precedente interrogazione sottoscritta con altri colleghi veniva posto il caso del dottor Nicola Silvestri, dirigente del Ministero della giustizia, con il profilo professionale di direttore coordinatore d’istituto penitenziario; che il caso suddetto consiste in un atteggiamento di lunga e reiterata azione persecutoria del Ministero, tanto ingiusta, quanto intollerabile, operata in danno del suddetto dirigente; che tale grave valutazione non è solo un’opinione degli interroganti, ma viene fatta propria nel corpo delle sentenze del TAR della Toscana e dei tribunali di Pistoia e Firenze che, a più riprese, censurano l’operato dell’amministrazione, sia sotto il profilo dell’abuso nei confronti del funzionario, sia sotto il profilo della violazione dei più elementari diritti della difesa, tanto che il Ministero è stato condannato a risarcire il danno subito dal Silvestri con la somma di lire 150 milioni, oltre gli interessi legali e rivalutazioni monetarie, danno che è stato risarcito non per iniziativa spontanea del Ministero ma in virtù di atto di pignoramento eseguito il 14 dicembre 1998 dall’ufficiale giudiziario giusto l’atto di precetto del tribunale di Pistoia del 1º dicembre 1998 per un importo di lire 183.804.054 oltre le spese ed altri oneri; che la lunga sequela dei provvedimenti del Ministero della giustizia contro il dottor Nicola Silvestri si è, dalla data della precedente interrogazione, ulteriormente «arricchita» con un arbitrario atto del provveditorato regionale del Ministero che, in data 7 maggio 1999 – immediatamente dopo la riassunzione del Silvestri nella piena titolarità della direzione della casa circondariale di Empoli – gli ha notificato una richiesta di sottoposizione a visita collegiale per l’accertamento del suo stato di salute e, quindi, per provvedere «alla dispensa dal servizio per sopravvenuta inabilità»; che, anche in questo caso, su ricorso dell’interessato, il tribunale penale e civile di Firenze, vista l’ampia documentazione prodotta dal ricorrente, ha sospeso il provvedimento del Ministero della giustizia dichiarandolo «palesemente illegittimo»; che il Silvestri presta puntualmente e regolarmente servizio alla direzione della casa circondariale di Empoli né si conoscono motivi validi per indurre il Ministero ad assumere siffatte e gravi iniziative; che questa lunga e paradossale battaglia legale ingaggiata dal Ministero sembra in verità abbia origine da presunte «difficoltà sorte tra la direzione dell’istituto penitenziario e le organizzazioni che operano sul territorio per la trattazione di affari di primaria importanza sociale e penitenziaria»; che tali difficoltà, con le organizzazioni che operano sul territorio, consistono in una esorbitante presenza all’interno del carcere di gruppi di animatori ed operatori di varia natura messi unilateralmente a disposizione dall’amministrazione provinciale di Firenze e dal comune di Empoli e da essi pagati; che l’istituto penitenziario di Empoli è un carcere femminile a «custodia attenuata» ospitante solo 13 detenute, a fronte di 48 agenti di polizia penitenziaria e 25 operatori sanitari fra infermieri, medici e psicologi con una media di 6 unità di personale per detenuto, rendendo con ciò inevitabilmente problematico il coinvolgimento di altri numerosi operatori provenienti dall’esterno, si chiede di sapere: quali provvedimenti si intenda assumere nei confronti dei funzionari che si sono resi protagonisti di provvedimenti pervicacemente illegittimi e contrari a sentenze passate in giudicato; se si ritenga opportuno promuovere una ispezione nei confronti del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, con particolare riguardo all’ufficio centrale del personale ed al provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria di Firenze; se, in ordine ai danni già liquidati al dottor Silvestri per circa 200 milioni, si intenda interessare gli organi di controllo dell’amministrazione, e specificamente la procura della Corte dei conti, affinché vengano valutate le conseguenti ipotesi risarcitorie nei confronti del Ministero della giustizia; come si valuti il rapporto esistente fra il numero delle detenute a custodia attenuata assegnate al carcere femminile di Empoli e le unità di personale di custodia ed assistenza ad esso assegnate, anche in relazione alla situazione di affollamento e di carenze di organico largamente diffusa nel nostro sistema carcerario.
che il requisito della residenza in provincia di Bolzano da almeno due anni – quale «requisito di precedenza» – ha comportato la modifica della graduatoria generale di merito, anche per i candidati del gruppo linguistico italiano, nel concorso a dieci posti (di cui tre riservati al gruppo di lingua italiana) di uditore giudiziario per la provincia autonoma di Bolzano, indetto con decreto ministeriale 17 giugno 1998 (come risulta dal Bollettino ufficiale del Ministro della giustizia n. 21 del 15 novembre 1999); che il «requisito di precedenza» prospettato non sarebbe stato indicato nel bando di concorso – sul quale i candidati fondano le proprie aspettative – e, peraltro, è previsto da fonte diversa dallo statuto con riferimento ai «posti dei ruoli locali», ponendo l’ulteriore problema se possano considerarsi tali i «posti di pianta organica» di uditore giudiziario; che si pone, comunque, il problema se lo stesso «requisito di precedenza» – previsto, ripetesi, da fonte diversa dallo statuto (che reca, sul punto previsioni diverse) – sia conforme a fondamentali princìpi costituzionali (articoli 3, 16, 51, 101-113, 116 della Costituzione); che sul problema prospettato – che ha dato luogo, tra l’altro, ad un reclamo al Consiglio superiore della magistratura (ai sensi dell’articolo 13 del decreto ministeriale 17 giugno 1998, citato) – si impone una presa di posizione del Governo con l’urgenza del caso (possibilmente prima dell’approvazione della graduatoria); che lo stesso Governo dovrebbe indicare, contestualmente, le iniziative che intende conseguentemente assumere per ovviare agli inconvenienti ed alle questioni che sono state prospettate, si chiede di conoscere: quali sia la verità dei fatti esposti in premessa; quale sia la posizione del Governo in ordine ai problemi prospettati; quali iniziative il Governo intenda conseguentemente assumere.