TERRITORIO, AMBIENTE, BENI AMBIENTALI (13a)
GIOVEDÌ 12 MARZO 1998

166a Seduta
Presidenza del Presidente
GIOVANELLI

La seduta inizia alle ore 14,30.

PROCEDURE INFORMATIVE
Indagine conoscitiva sulla difesa del suolo: esame della proposta di documento conclusivo
(R048 000, C13a, 0004°)

Il relatore VELTRI dà conto del lavoro del Comitato paritetico delle Commissioni 13a del Senato e VIII della Camera dei deputati, da lui presieduto, che ha svolto la propria attività istruttoria attraverso l'effettuazione di numerose audizioni nel periodo tra luglio e dicembre dello scorso anno.
Nel far presente che ha predisposto una bozza di documento conclusivo compresiva di tre allegati, ne auspica un rapido esame anche in considerazione dei concomitanti lavori della Commissione bicamerale per il parere sui decreti attuativi della legge n. 59 del 1997.
Lo spirito che informa la proposta di documento conclusivo è incentrato sulla convinzione che non bisogna perdere di vista il ruolo equilibratore degli organismi centrali in materia di difesa del suolo, pur in costanza di un forte decentramento auspicato da più parti: a tal fine è secondo lui necessario assumere al più presto iniziative anche a livello legislativo per la riforma della legge n. 183 del 1989.
Soffermandosi sulla prima parte del documento, il relatore ricorda che l'indagine conoscitiva svolta dal Comitato paritetico è stata deliberata a seguito della presentazione di una proposta di inchiesta parlamentare in materia di difesa del suolo (Doc. XXII, n. 15) - assegnata alla 13a Commissione - e di numerosi altri atti (interrogazioni, mozioni, risoluzioni ed ordini del giorno) presso entrambi i rami del Parlamento. Ricorda altresì, tra le altre iniziative recenti o in corso, che presso il Ministero dei lavori pubblici ha operato dal 15 aprile 1997 una commissione presieduta dall'onorevole Cutrera che, avendo recentemente concluso i propri lavori, ha proposto modifiche di carattere integrativo, correttivo e semplificativo per quanto riguarda le procedure di approvazione dei piani di bacino ed ha individuato altresì più efficaci strumenti di prevenzione nelle aree di pertinenza fluviale; è stata poi presentata una proposta di direttiva del Consiglio dell'UE il 21 aprile 1997 che istituisce un quadro per la politica comunitaria in materia di acque; la materia delle acque e della difesa del suolo è stata infine oggetto di decentramento ai sensi della citata legge n. 59 e quindi di uno schema di decreto legislativo ancora suscettibile di modificazioni.
Dopo aver ricordato che le audizioni sono state condotte sulla base di un questionario trasmesso anticipatamente agli interessati, il relatore illustra la parte del documento relativa ai nodi della citata legge n. 183 emersi dalle risposte degli interlocutori istituzionali e degli esperti. Essi in larghissima parte coincidono con quelli segnalati nell'ambito della relazione di accompagnamento alla citata proposta di inchiesta parlamentare. Degli innumerevoli temi analizzati una particolare sottolineatura è stata rivolta alla gravità del dissesto idrogeologico, soprattutto da parte del sottosegretario Barberi, che ne ha individuato innumerevoli cause, fortemente connesse con l'inattuazione della legge sulla difesa del suolo. Di tale inattuazione è possibile individuare alcuni fattori esterni, tra cui aspetti culturali nel senso di una modesta conoscenza da parte di amministratori e cittadini dei fenomeni idrogeologici e della pianificazione come politica organica del territorio, e un quadro normativo poco chiaro e contraddittorio, caratterizzato da scarsa coerenza e affiancato da una molteplicità di competenze e di enti operativi non coordinati. I fattori interni sono più numerosi e articolati e comprendono aspetti fisiologici, legati alla complessità delle norme e allo spessore delle innovazioni introdotte, un rapporto tra Stato e regioni non chiaramente disciplinato in quanto concepito in un periodo di transizione da un modello centralistico ad uno più regionalistico, l'inadeguatezza degli strumenti operativi messi a disposizione delle Autorità di bacino.
Nel dar conto della classificazione e delimitazione dei bacini idrografici e della divergenza di opinioni emersa in merito al modello di Autorità di bacino, il relatore si sofferma sugli esiti dell'indagine relativamente ai piani di bacino. Il criterio di distinzione è duplice: geografico, per distinguere i bacini regionali dagli altri, ovvero di «rilevanza», per distinguere tra bacini nazionali e interregionali; ciò anche se va evidenziato che diversi bacini geograficamente interregionali sono compresi, per esclusione, tra i regionali. L'appartenenza all'uno o all'altro gruppo implica procedure e competenze diverse nell'azione di difesa del suolo, in particolare per la predisposizione e l'adozione dei piani di bacino.
Appare, nelle valutazioni dei soggetti auditi, largamente condivisa l'esigenza di preservare l'unitarietà fisica del bacino idrografico, come ambito territoriale nel quale si sviluppano e possono essere controllati i principali processi che interessano la difesa del suolo. Più articolato e complesso il quadro delle posizioni nei confronti del mantenimento dell'attuale classificazione: fra i favorevoli al criterio della omogeneità emerge una differenza netta tra quanti ritengono che essa vada perseguita estendendo la presenza dell'Amministrazione statale anche ai bacini interregionali e regionali, e quanti, al contrario, ritengono che il riferimento debba essere costituito dalle regioni, e che la omogeneità vada ricercata attribuendo anche per i bacini nazionali alle regioni interessate, d'intesa tra loro, le stesse funzioni previste per i bacini interregionali.
Si ritiene, poi, che le Autorità di bacino debbano avere maggiore o piena indipendenza, anche se, per alcuni, l'indipendenza è intesa come autonomia finanziaria dalla quale in qualche modo fanno discendere indirettamente anche una autonomia decisionale: autonomia finanziaria in parte derivante dall'attribuzione diretta all'Autorità dei canoni concessori di derivazione di acqua pubblica e di prelievo di materiali litoidi. Secondo un altro filone, che fa capo alle Regioni, si intende per indipendenza l'autonomia decisionale del soggetto Autorità (la cosiddetta terzietà), che determinerebbe la limitazione delle competenze degli enti elettivi in materia di pianificazione e programmazione. In generale, da parte di molti interlocutori, viene richiamata l'esigenza di chiarire - con riferimento a quella di rilievo nazionale - la natura giuridica dell'Autorità di bacino: se organo di cooperazione Stato-Regioni e quindi di supporto alle scelte del governo, o organo di amministrazione attiva di tipo manageriale con ampia capacità decisionale. La soluzione del problema è dai più rimessa all'attuazione della legge n. 59 del 1997 attraverso i decreti legislativi di conferimento di funzioni a regioni ed enti locali. Tuttavia, quello vigente è un modello cooperativo in qualche modo anomalo, ove da un lato non esiste certezza dei poteri tra i soggetti cooperatori, creando lacune nell'esercizio delle rispettive funzioni, e nell'avvio e conclusione dei procedimenti (soprattutto quello del piano di bacino), dall'altro non individua precisi poteri di controllo e sanzionatori nei confronti dei soggetti inadempienti.
Circa l'efficacia dei piani di bacino, per taluno degli auditi non vi è dubbio che la soddisfazione degli interessi idraulici e del suolo non debbano esprimersi in prescrizioni urbanistiche ex novo. Tuttavia, considerando tale ragionamento in senso stretto, il piano di bacino si ridurrebbe a strumento di mera difesa passiva delle aree di interesse idrogeologico, riducendosi a disporre la totale inedificabilità per tutta l'area interessata, senza alcuna considerazione degli interessi di altra natura. Tale concezione, oltre ad apparire in qualche modo superata sul piano culturale, non risponde al dettato normativo poichè l'articolo 17, comma 3, lett. a) della legge n. 183 dispone, al contrario, che il piano di bacino debba contenere il «quadro conoscitivo organizzato ed aggiornato del sistema fisico, delle utilizzazioni del territorio previste dagli strumenti urbanistici comunali ed intercomunali», confermando come non si possa postulare una funzione del piano di bacino monosettoriale ed esclusivamente tecnica.
Suffermatosi anche sul contrasto evidente tra la pianificazione di bacino e la pianificazione post-calamità, nonchè sulla questione dell'adeguatezza dei Servizi tecnici nazionali, il relatore dichiara che la legge n. 183 deve essere modificata sia per accrescerne l'operatività, correggendo quegli aspetti che appaiono come i principali ostacoli al completo dispiegarsi di tutte le potenzialità presenti nel suo impianto originario, sia per adeguarla al nuovo scenario istituzionale sia infine per renderla coerente con le indicazioni contenute nella proposta di direttiva comunitaria del Consiglio in materia di acque. La legge n. 183 va corretta, ma non stravolta: il suo impianto è solido e razionale e ha comunque consentito il conseguimento di risultati importanti; l'intervento di modificazione della legge n. 183 deve essere pertanto calibrato in modo da non vanificare il lento e faticoso cammino fin qui percorso, ma deve limitarsi ad una azione di «manutenzione legislativa» finalizzata a modificare quelle norme che alla prova dei fatti sono apparse inadeguate.
Per quanto riguarda la classificazione e delimitazione dei bacini idrografici, l'unitarietà fisica dei bacini idrografici deve essere preservata. Il secondo aspetto da considerare è quello della omogeneità, dal punto di vista amministrativo, dei diversi bacini idrografici, riuniti o meno in comparti o distretti: è indispensabile assicurare nel breve periodo un'azione di difesa del suolo omogenea su tutto il territorio nazionale, attribuendo lo stesso rilievo a tutti i bacini indipendentemente dalla loro collocazione geografica e assumendo un modello organizzativo unico. Occorre quindi eliminare la distinzione fra i diversi livelli dei bacini, prevedendo un modello unico di bacino idrografico; una scelta di questo tipo ha come logico corollario quello di valorizzare maggiormente il ruolo delle Regioni, che dovranno avere i compiti più rilevanti nella gestione dei bacini idrografici.
Se l'uniformità del modello amministrativo dell'Autorità di bacino è principio acquisito, ne discende che uniforme dev'essere anche la struttura organizzativa, il complesso dei poteri ed i modi delle decisioni; preminente appare, inoltre, la necessità di programmare flussi finanziari più cospicui di quelli finora verificatisi, in modo da porre in essere efficaci programmi di manutenzione e polizia idraulica, capaci di contenere i danni con conseguenti cospicue economie di scala.
Quanto all'approvazione del piano, essa dev'essere atto proprio dell'Autorità, mentre, per controbilanciarne l'autonomia decisionale, il piano deve essere approvato preventivamente - come per tutti i piani di area vasta a contenuto prescrittivo degli usi del territorio (piano paesistico, piano del parco, piano territoriale regionale) - dalle assemblee regionali interessate dal piano di bacino. Quanto al problema dei contenuti, è convinzione del relatore che il piano di bacino possa essere efficacemente redatto attraverso piani tematici o di settore diretti alla tutela di particolari situazioni territoriali (esondazioni, franosità, peculiarità ambientali, dissesti idrogeologici), purchè inquadrati in una cornice generale relativa al complessivo assetto del bacino considerato.
Dopo aver dato brevemente conto di proposte concernenti meccanismi compensativi, protezioni assicurative ed indennizzi, il relatore dichiara che la centralità del ruolo dell'Autorità di bacino va riaffermata in tutte le attività di pianificazione di bacino e quindi anche in quelle più strettamente connesse alla riduzione del rischio idrogeologico. È pertanto indispensabile che l'analisi del rischio idrogeologico venga effettuata in modo omogeneo sia per le finalità di protezione civile (gestione della fase precedente e seguente l'evento) sia per le finalità della pianificazione di bacino (interventi strutturali e limitazioni d'uso del territorio per ridurre il rischio). È necessario, poi, un diretto e significativo coinvolgimento nella predisposizione dei piani post-evento dell'Autorità di bacino, che dovrà altresì valutare se e quali modificazioni l'evento e le valutazioni ad esso successive potranno avere sul piano di bacino; per favorire la più stretta integrazione tra protezione civile e pianificazione di bacino appare, infine, necessario aprire le strutture di gestione delle Autorità di bacino ad adeguate rappresentanze delle istanze di protezione civile.
I Servizi tecnici nazionali costituiscono un patrimonio di conoscenza, di competenza e di esperienza che va salvaguardato e potenziato: è necessaria una più estesa articolazione sul territorio nazionale per favorire l'interazione con la comunità scientifica e con le altre strutture tecniche. L'uso delle risorse deve essere pianificato a scala di bacino, non solo per gli ovvi riflessi che prelievi fatti a monte possono avere sulle disponibilità di valle, ma anche per gli effetti che una mutata diluizione può avere sulla qualità complessiva del corpo idrico. Solo a scala di bacino e nella logica di piano possono essere valutate le compatibilità tra le diverse ipotesi di utilizzazione e localizzazione dei punti di prelievo.
La partecipazione della comunità al governo della difesa del suolo e l'informazione dei cittadini sono infine essenziali, in materia di risorse idriche e di difesa del suolo: occorre perciò superare strumenti tradizionali, quali ad esempio il deposito per la consultazione di piani o di progetti, ampiamente inadeguati a svolgere un corretto e completo compito di informazione e partecipazione; il percorso può essere quello indicato da altri paesi (Francia, Stati Uniti) dove esistono e operano istituti e organismi, anche a carattere non governativo, che consentono la diffusione delle informazioni, la raccolta sistematica delle posizioni dei soggetti interessati e la composizione contrattata e preventiva dei conflitti. Sono necessarie quindi azioni immediate ed efficaci per vincere inerzie culturali ed educazionali e coinvolgere, così, in pari misura cittadini, istituzioni, sistema produttivo e mezzi di comunicazione.

Il presidente GIOVANELLI rinvia il seguito dell'indagine conoscitiva ad altra seduta.

La seduta termina alle ore 15,40.