TERRITORIO, AMBIENTE, BENI AMBIENTALI (13
a
)
MARTEDÌ 12 NOVEMBRE 1996
45
a
Seduta
Presidenza del Presidente
GIOVANELLI
Interviene il ministro dell'ambiente Ronchi.
La seduta inizia alle ore 15,20.
SUI LAVORI DELLA COMMISSIONE
(A007 000, C13
a
, 0009°)
Il senatore CARCARINO propone che, in assenza di obiezioni dei Gruppi, la discussione sullo schema di decreto sui rifiuti prosegua sino alle ore 18, quando alcuni componenti dell'Ufficio di Presidenza si incontreranno con il ministro Ronchi per trattare questioni inerenti il risanamento del fiume Sarno. Conseguentemente, la seduta notturna non dovrebbe aver più luogo.
Il presidente GIOVANELLI, non facendosi osservazioni tra i Gruppi, dichiara che la proposta testè formulata si intende accolta.
IN SEDE CONSULTIVA SU ATTI DEL GOVERNO
(n. 35) Schema di decreto legislativo per il recepimento delle direttive 91/156/CEE del Consiglio del 18 marzo 1991, relativa ai rifiuti, 91/689/CEE del Consiglio del 12 dicembre 1991, relativa ai rifiuti pericolosi e 94/62/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 dicembre 1994 relativa agli imballaggi ed ai rifiuti di imballaggio
(Parere al Presidente del Consiglio dei ministri. Seguito dell'esame e rinvio)
(R144 003, C13
a
, 0001°)
Si riprende l'esame sospeso nella seduta pomeridiana del 5 novembre scorso.
Il relatore, senatore STANISCIA, illustra il proprio schema di parere, favorevole condizionato all'accoglimento di taluni rilievi avanzati per gruppi di argomenti; si dichiara peraltro disponibile ad accogliere eventuali ulteriori suggerimenti che dovessero emergere dal dibattito.
Secondo un'interpretazione emersa nel dibattito e nelle audizioni svolte, il Governo non sarebbe più titolare di alcuna delega all'emanazione di un testo unico sui rifiuti, in quanto quella prevista dall'articolo 8 della legge n. 146 del 1994 (per il riordinamento normativo delle materie interessate dalle direttive comunitarie di cui all'articolo 1 della medesima legge) è decorsa infruttuosamente il 19 marzo 1996: tale termine non è stato rinnovato dalla legge n. 52 del 1996, il cui articolo 8, peraltro, si limita a prevedere l'emanazione di testi unici solo nelle materie oggetto dell'articolo 1 di tale legge, e non può, secondo questa tesi, ritenersi esteso a quelle delle direttive per il cui recepimento l'articolo 6 prevede la remissione in termine (in particolare, il Governo non potrebbe istituire la tariffa di cui all'articolo 47, nè dettare una normativa sulle pile e gli accumulatori nè disciplinare alcuni tipi di rifiuti quali quelli sanitari o dei veicoli a motore).
Secondo un'altra ed opposta teoria, nell'ambito dei criteri e principi generali di delega di cui all'articolo 2 della legge n. 146 del 1994, la previsione che «per evitare disarmonie con le discipline vigenti per i singoli settori interessati dalla normativa da attuare, saranno introdotte le occorrenti modifiche o integrazioni alle discipline stesse» giustificherebbe la possibilità di adottare un testo coordinato nelle materie delegate, compresa quella dei rifiuti; a rafforzare tale interpretazione vale l'articolo 36 della medesima legge n. 146 che detta ulteriori criteri di delega per l'attuazione delle direttive in materia di tutela dell'ambiente, comprese quelle sulla gestione dei rifiuti, prevedendo in proposito l'adeguamento della normativa vigente alla disciplina comunitaria, apportando alla prima «ogni necessaria modifica ed integrazione allo scopo di definire un quadro omogeneo ed organico delle disposizioni di settore». Anche per l'attuazione della direttiva 94/62/CEE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio, non è prevista tra i criteri di delega la possibilità di un riordinamento della normativa vigente, ma tra i criteri generali di delega di cui all'articolo 3 la legge comunitaria riproduce il contenuto della precedente comunitaria, per quanto riguarda il coordinamento della normativa vigente nelle materie interessate dalle direttive comunitarie. Tale interpretazione sembra più conforme allo spirito e alla sostanza della delega, per cui si ritiene il decreto legislativo in esame conforme ai criteri dettati dalla legge delega stessa: si propone tuttavia al Governo di sopprimere gli articoli 46, relativo alla commercializzazione e marcatura delle pile, e 53, riguardante le sanzioni per chi viola l'articolo 46, anche alla luce del fatto che la materia è regolata da una specifica direttiva (91/157/CEE) per il cui recepimento è stata concessa specifica delega; si propone altresì di riformulare l'articolo 47, riguardante l'istituzione della tariffa in luogo della tassa.
La mancata adozione, il mancato rispetto ed alla fine l'impraticabilità della pianificazione previsti dalla legislazione in vigore sono, per opinione generale, una delle cause dell'attuale situazione di emergenza. Il testo presentato propone un modello di pianificazione a cascata fortemente centralistico e burocratico - composto da piano nazionale, piani regionali, piani di settore, piano di ambito ottimale - da adottare con atti complessi e concertati che hanno forza di legge e che anche per questo sono caratterizzati da forte rigidità di gestione, oltre a difficoltà di adozione (articoli 21,22,23 e 25).
Tutto questo apparato pianificatorio e normativo è previsto a monte di una strumentazione attuativa piuttosto esile, che si risolve nella facoltà di stipulare «accordi e contratti di programma» e nell'utilizzo del potere sostitutivo e di quel «piano triennale per l'ambiente» che si è già rivelato fallimentare. Appare pertanto opportuno capovolgere la logica proposta nel decreto rinunciando a uno schema rigido di pianificazione calata dall'alto, per farne conseguire la previsione di un quadro di riferimento permanente ed aggiornato, che costituisca un ambito di funzioni da inscrivere permanentemente tra i compiti propri dei Ministeri o delle Regioni: sulla base di questo quadro di riferimento permanente, viene meno la necessità che esso sia definito con atti normativi nominati, come quelli di adozione dei piani.
Si propone di cancellare tutte le disposizioni riferite alle finalità ed alle modalità di redazione dei piani (articolo 21, commi 1 e 2; articolo 22 commi da 1 a 6), per sostituire i relativi piani con il richiamo agli obiettivi generali del decreto legislativo e con un ambito di funzioni gravitanti sulla necessità di un osservatorio per la raccolta di dati e l'elaborazione di criteri e priorità nel sistema della gestione dei rifiuti. Tale nuovo strumento - che pare corretto ricondurre alla nozione giusromanistica di
officium
, assai più che prefigurare una nuova articolazione burocratica -coinvolgerebbe cittadini ed enti locali per la realizzazione di interventi concreti, a partire dall'organizzazione della raccolta differenziata fino alla realizzazione di impianti per lo smaltimento di rifiuti speciali; gli obiettivi sarebbero fissati con flessibilità individuando ad esempio, per quel che riguarda la localizzazione territoriale, le zone in cui non è possibile ubicare determinati impianti e fissando, per gli scarichi, indici generali e parametri da non superare; le Regioni potrebbero individuare ambiti territoriali ottimali anch'essi flessibili, per consentire una gestione economicamente valida degli impianti di recupero, riciclo e smaltimento dei rifiuti non urbani, e per permettere la realizzazione di impianti per il trattamento dei rifiuti urbani in ambiti più limitati, tali da consentire - ai comuni che lo vogliano - di realizzarli nel rispetto dell'ambiente e della salute pubblica; la disponibilità di dati aggiornati forniti dall'osservatorio consentirebbe di intervenire con strumenti adeguati in tempi relativamente brevi per far fronte alla situazioni che di volta in volta si presentano.
Gli strumenti individuati dal decreto per influenzare le strategie produttive sono poco efficaci in quanto mirati a intervenire «a valle» e non «a monte» del processo produttivo: i divieti di smaltimento e discarica, la raccolta differenziata, gli stessi obiettivi di «recupero» e di «riciclo», la semplificazione delle procedure e l'istituzione della tariffa - che colpisce colui che ha le minori possibilità di ridurre i rifiuti, cioè il consumatore - sono esempi di una logica che è stata già sperimentata nel passato e che non può costituire una garanzia per l'attuazione dei risultati innovativi che il provvedimento intenderebbe perseguire.
Gli accordi di programma previsti, come ad esempio le sperimentazioni rivolte a ridurre i rifiuti, a promuoverne il riutilizzo o il riciclaggio, a trovare nuove forme di smaltimento o a realizzare impianti di recupero sono gli unici strumenti che potrebbero rivelarsi di una certa efficacia, a condizione tuttavia di una loro disciplina in un'ottica di decentramento locale o al più regionale. In futuro, qualora utilizzati per incentivare la ricerca e la sperimentazione, gli accordi di programma potranno essere suscettibili di incidere anche sulla radice del problema, vale a dire sul tipo di processo produttivo e la quantità e qualità dei consumi.
Si suggerisce pertanto al Governo di agire perchè diventino convenienti le attività che il mercato non fa spontaneamente, attraverso strumenti economici e fiscali utilizzati per limitare la produzione dei rifiuti e stimolare la raccolta differenziata; occorrono anche incentivazioni alla ricerca tecnologica finalizzata a rendere più convenienti le attività di riciclo e di recupero. Nè si tralascino aiuti finanziari alle aziende che investono per rinnovare i cicli produttivi, anche attingendo a finanziamenti previsti da leggi esistenti; si prevedano anche disincentivi per lo smaltimento in discarica e l'incenerimento senza recupero di energia.
Un rafforzamento dell'apparato preposto ai controlli è indispensabile, in quanto esso è privo delle professionalità e degli strumenti adeguati per attività fondamentali, come il controllo degli scarichi, l'accertamento del tipo di rifiuto riciclato o recuperato, l'analisi dei singoli processi produttivi. Il decreto non va in questa direzione ed è presente in esso la tendenza a rafforzare i controlli preventivi sulle «carte», sui progetti, sulle comunicazioni e sulle autorizzazioni trascurando, invece, i controlli effettuati sul campo durante i processi e «a valle» degli stessi.
Si propone pertanto, nel valutare positivamente la forma di controllo di cui all'articolo 19, di rafforzare in generale il potere di controllo demandato alle provincie, obbligando le stesse, nell'ambito dei propri bilanci, a dotarsi degli strumenti e della professionalità necessari per effettuare controlli scientificamente fondati; si propone anche di dare un potere reale di controllo al sindaco, che è autorità sanitaria locale ed ha una conoscenza più diretta del territorio e delle attività che su di esso si svolgono, consentendogli di utilizzare anche strutture private qualificate, laddove gli organi di controllo pubblici non si rivelino all'altezza di fronteggiare esigenze di tutela dell'ambiente e della salute pubblica.
Il quadro normativo in materia di autorizzazioni ed iscrizioni si è caratterizzato, finora, per un'estrema complessità: è mancato un quadro organico, coerente e di facile interpretazione, mentre le direttive europee danno indicazioni che vanno in direzione di una semplificazione delle procedure.
L'efficacia attribuita al provvedimento di approvazione dall'articolo 26 è tanto generica quanto totalizzante, lasciando aperti tutti i dubbi creati dall'attuale legislazione: il valore sostitutivo ad ogni effetto di «visti, pareri, autorizzazioni e concessioni di organi regionali, provinciali e comunali» non è accompagnato da indicazioni precise quanto alla documentazione necessaria, le forme di partecipazione e la specificazione dei modi in cui il parere e la conseguente autorizzazione deve essere data; in mancanza di ciò, il contenzioso che si è verificato in passato è destinato a permanere. In questo articolo mancano inoltre le indicazioni di raccordo con la procedura per la valutazione di impatto ambientale: non essendoci più la distinzione tra rifiuti pericolosi e rifiuti tossici e nocivi, non è chiaro per quali impianti si debba richiedere la verifica di impatto, come non è chiaro il concetto che l'approvazione di cui a questo articolo costituisce variante allo strumento urbanistico.
L'articolo 27 non è raccordato con le previsioni dell'articolo precedente relative ad approvazione di progetti e autorizzazione alla realizzazione di impianti: non si ricava infatti una precisa indicazione sulla differenza che intercorre tra l'autorizzare l'esercizio di un impianto approvato ed autorizzare l'esecuzione di operazioni che non necessitano di impianti. Va detto anche che non si può far realizzare l'impianto e poi, in fase di autorizzazione all'esercizio, porre una serie di prescrizioni come quelle citate, che possono mettere in dubbio anche l'avviamento dell'impianto stesso. Perplessità si ravvisano, inoltre, relativamente alla procedura prevista per il rinnovo: in primo luogo non è chiaro in base a quali criteri il rinnovo venga concesso o negato; in secondo luogo non si può pensare che per attività imprenditoriali, quali sono quelle autorizzate dalla norma, il rinnovo possa essere comunicato anche all'ultimo giorno; infine i tempi per il rinnovo (180 giorni) risultano superiori tanto ai 30 giorni previsti per il primo rilascio, quanto ai 140 previsti per l'approvazione e autorizzazione di realizzazione di impianti, il che sembra decisamente incongruente. Ma l'aspetto senz'altro più discutibile della norma in esame è nel fatto di prevedere un regime indistinto per attività di smaltimento e attività di recupero (salvo prevedere una serie di deroghe agli articoli 30-32 di cui si dirà più avanti) in chiaro contrasto con quanto previsto dalla direttiva 91/156/CEE che prevede regimi diversi per le attività di smaltimento e di recupero.
La procedura di iscrizione obbligatoria, di cui all'articolo 28, è dichiarata sostitutiva dell'autorizzazione di cui all'articolo 27, ma poichè le attività elencate (raccolta e trasporto di rifiuti, bonifica dei siti inquinati, bonifica dei beni contenenti amianto, commercio ed intermediazione di rifiuti e gestione di impianti di smaltimento o di recupero di titolarità di terzi) non sono in alcun caso soggette ad autorizzazione, si ravvisa un'incongruenza. La norma prevede poi cripticamente che l'iscrizione venga deliberata da apposita commissione regionale, la cui costituzione è rinviata a successivi decreti del Ministro dell'ambiente. È prevista inoltre l'istituzione di un comitato tecnico-amministrativo per il coordinamento delle attività delle commissioni regionali che succede nelle funzioni e nelle competenze al Comitato nazionale dell'albo (ma le cui attribuzioni e modalità di istituzione sono rinviate a successiva decretazione): se l'iscrizione sostituisce l'autorizzazione di cui all'articolo 27, il comitato che esamina l'iscrizione dovrebbe già essere in grado di fare l'istruttoria, per cui tale ulteriore previsione è pleonastica.
Agli articoli 30-33 sono, infine, previste procedure semplificate che essenzialmente consistono in una comunicazione preventiva corredata da apposita relazione da inoltrare alla regione o alla Camera di commercio. Tali procedure semplificate sono previste per attività di autosmaltimento di rifiuti non pericolosi, per operazioni di recupero e attività di raccolta e trasporto di rifiuti destinati a recupero. L'autosmaltimento di rifiuti pericolosi e la discarica di rifiuti devono essere autorizzati secondo le procedure di cui agli articoli 26 e 27: visto che è possibile fare l'autosmaltimento anche di rifiuti pericolosi e le discariche, ci si domanda dove andranno realizzati tali impianti.
L'attività di recupero è poi subordinata ad una comunicazione ed al possesso dei requisiti soggettivi richiesti per la gestione dei rifiuti, ma ciò causa una sovrapposizione coi requisiti dell'iscrizione di cui all'articolo 28. Va inoltre sottolineato che il sistema ipotizzato presenta molte contraddizioni e ripetizioni, e risulta caratterizzato dalla provvisorietà e dall'incertezza: esso tende a creare un impianto autorizzativo complesso, lungo, incerto, con una serie di pretese garanzie di tipo cartaceo; tutti elementi, questi, che non stimolano le imprese ad investire.
Per superare gli ostacoli esistenti - costituiti dall'indubbia lentezza degli enti pubblici, dall'opposizione degli enti locali e delle popolazioni alla realizzazione degli impianti, dall'incapacità degli enti addetti ad effettuare i controlli dovuti e dai dubbi sull'affidabilità di taluni operatori economici - si ricorre ad una serie di procedure differenziate e complesse, che costituiscono una vera e propria «legislazione di guerra»; tali sono, ad esempio, le previsioni di una autorizzazione assorbente ogni altra, della variante automatica allo strumento urbanistico, della dichiarazione di pubblica utilità di un impianto autorizzato; tutte queste procedure intenderebbero di non bloccare l'attività produttiva e contemporaneamente recuperare, riciclare e smaltire i rifiuti nel modo meno dannoso per l'ambiente.
È necessario invece intervenire «a monte», mettendo l'apparato amministrativo in condizione di rilasciare subito le autorizzazioni, di controllare le autocertificazioni e gli atti delle aziende, di verificare realmente i processi di riciclaggio, recupero, smaltimento; l'esperienza passata ha insegnato che queste misure non funzioneranno e quindi, nonostante le forzature che in alcuni punti si fanno nei confronti delle direttive comunitarie, i problemi di oggi saranno destinati a rimanere.
Si propone invece al Governo di articolare un sistema più chiaro, individuando con precisione le attività soggette ad autorizzazione, quelle soggette ad iscrizione e quelle soggette a comunicazione, ed eliminando, laddove è possibile, le distinzioni. Quando si parla di iscrizione andrebbe poi abbandonato il sistema deliberativo che contrasta con il concetto stesso di iscrizione; occorre individuare chiaramente un unico albo che semplifichi non solo le procedure di iscrizione, ma anche la consultazione: ognuno sia iscritto per l'attività che intende intraprendere, e si elimini così quella pluralità di appositi elenchi rappresentati da quello degli iscritti in senso stretto (articolo 28), quello di raccoglitori e trasportatori (articolo 33), quello degli utilizzatori diretti (articolo 31), quello dei recuperatori (articolo 32) e quegli esclusi (articolo 5, comma 3).
Sarebbe meglio dettare i principi generali, chiari e semplici, sia per ricevere l'iscrizione, sia per ottenere l'autorizzazione, in modo da togliere il più possibile discrezionalità da chi deve decidere e dare maggiore certezza agli operatori; occorre decentrare le competenze per accelerare l'attività della pubblica amministrazione; la provincia, che ha già la competenza del controllo, può avere anche quella del rilascio delle autorizzazioni, del controllo delle comunicazioni, se non unificate, nonchè dell'individuazione dei siti, operata insieme con i comuni interessati. Si potrebbero riservare, eventualmente, alle Regioni solo le autorizzazioni per il recupero, riciclaggio e smaltimento dei rifiuti pericolosi.
Occorre poi semplificare al massimo le procedure: se si danno risposte rapide e se si attuano controlli efficaci, non sono più necessarie le tante distinzioni di
iter
previste ed i numerosi documenti da presentare per le diverse attività che si vogliono espletare nel settore del riciclo, del recupero e dello smaltimento dei rifiuti; si stabilisca anzi per Regioni e province un termine tassativo di 60 giorni entro cui detti enti devono dare una risposta positiva o negativa a chi ha avanzato una richiesta; si deve fare obbligo a Regioni e province di assumere, sempre nell'ambito delle rispettive capacità di bilancio, personale necessario e qualificato e di acquistare tutte le risorse occorrenti per dare una risposta, nei tempi stabiliti, alle richieste avanzate, nonchè di dotarsi di tutte le attrezzature necessarie per effettuare i controlli sul campo; occorre dare maggiore fiducia agli operatori del settore, permettendo loro di far ricorso all'autocertificazione.
Il passaggio dalla tassa alla tariffa senza ulteriori interventi normativi comporta, per l'immediato, conseguenze negative per i comuni, le province e i cittadini: si deve applicare l'IVA; non si può applicare l'addizionale
ex
ECA; non è possibile riscuotere il tributo da devolvere alle province; bisogna coprire il 100 per cento della spesa affrontata per il servizio. È verosimile altresì un aumento della pressione fiscale per i cittadini e una diminuzione di circa 1000 miliardi del gettito dei comuni. Occorre poi tener conto che i comuni solo oggi hanno attenuato il fenomeno dell'evasione; con il cambiamento della normativa, se non ben calibrata, il fenomeno potrebbe tornare ad essere patologico con un grave danno per i comuni, che vedrebbero aumentato il contenzioso e diminuite le entrate. Infine, le esperienze in questa direzione, fatte in altri Paesi, non hanno dato quei risultati che ci si potrebbe aspettare e spesso si è anche verificata, laddove è stata sperimentata la tariffa, una dispersione incontrollata di rifiuti sul territorio.
Alla luce del fatto che i criteri dettati dall'articolo 47 sono già presenti nel decreto legislativo n. 507 del 1993 e che i comuni con proprio regolamento devono definire categorie di prodotto di rifiuto (alle quali vanno attribuiti uno o più coefficienti di produttività degli stessi), si propone di trasformare l'articolo 47 in una norma programmatica nella quale sia previsto il passaggio dalla tassa alla tariffa entro l'anno 2000; ciò può avvenire dettando norme e criteri affinchè il passaggio eviti i riflessi negativi citati e si possa usufruire dei vantaggi che derivano dall'istituzione della tariffa.
Negli articoli 55 e 56 in particolare si regolano i comportamenti da tenere nel periodo di passaggio da una normativa a un'altra. Poichè i tempi di attuazione saranno lunghi, ma nel frattempo è necessario dare certezza agli operatori pubblici e privati, si propone: di salvaguardare alcune parti di norme che si intendono abrogare, in quanto non ricomprese nel decreto, in modo particolare quelle relative alle parti finanziarie; di abrogare l'articolo 29
-bis
della legge n. 427 del 1993, relativo al contributo di riciclaggio sul polietilene; di prevedere un regime transitorio che faccia salve le leggi regionali fino all'emanazione dei decreti attuativi.
Quanto al sistema sanzionatorio, la risposta penale non è la più idonea a fare in modo che le leggi e le norme che regolano le attività di riciclo, recupero e smaltimento dei rifiuti siano rispettate: altri sono i mezzi con cui bisogna intervenire per la tutela del territorio dell'ambiente e della salute pubblica. Considerato che alcune sanzioni sono particolarmente severe e altre, invece, sono preferibili agli obblighi che comporta il decreto e ritenendo che nel settore in esame sia opportuno intervenire con sanzioni che incidano in modo determinante sugli utili degli operatori, si propone di abrogare l'articolo 53, in quanto materia non delegata; occorre altresì prevedere sanzioni soprattutto attraverso lo strumento della revoca o della sospensione delle autorizzazioni concesse, onde impedire il proseguimento dell'attività.
Infine, definizioni che richiedono ulteriori precisazioni sono quelle riguardanti i luoghi di produzione, gli inerti, il deposito temporaneo, gli intermedi di lavorazione, il pretrattamento e la preselezione.
Sullo schema di parere illustrato dal relatore si apre il dibattito.
Il senatore MANTICA ravvisa elementi di notevole critica nelle osservazione espresse dal relatore, per quanto di corredo ad un parere favorevole. Eccesso di delega va riscontrato anche negli articoli 44 e 45, sugli autoveicoli; quanto agli strumenti economici che incidono sul ciclo produttivo, filosoficamente contrapposto è il modo di vedere del Gruppo di Alleanza nazionale, secondo cui non si può regolare il mercato con strumenti coercitivi come la legge. A causa della differenziazione per materiale del contributo, scaturirebbe un inevitabile effetto di alterazione dei prezzi di mercato: in proposito, rispetto alle proposte del relatore più corretta appare la formulazione del decreto legislativo.
Viceversa, con il relatore non si può che convenire se si pone mente alle sue proposte sul sistema pianificatorio: soppresso il piano nazionale, però, occorre ricordare che le Regioni rappresentano il livello di amministrazione locale di riferimento, in quanto le funzioni di controllo che si vorrebbero attribuire alle province non scontano l'attuale loro scarsità di risorse. Gli ambiti territoriali ottimali andrebbero comunque modellati sulle realtà territoriali esistenti; in caso di inadempimento degli enti locali, poi, andrebbe previsto l'esercizio di poteri surrogatori. Il decentramento dovrebbe comunque salvaguardare l'esistenza di un unico centro di indirizzo e controllo; peraltro, l'esaltazione del ruolo dei comuni operata dal relatore non dovrebbe tralasciare la considerazione che il potere decisionale rischia la paralisi - quando si tratta di individuare i siti degli impianti di trattamento dei rifiuti - laddove ci si affidi esclusivamente al consenso dei comuni, mentre andrebbe contemplata la possibilità di una decisione finale da assumere ad un livello superiore.
Il relatore ha poi richiesto una vera e propria riscrittura delle norme sul sistema autorizzativo: il Gruppo di Alleanza nazionale non solo concorda con tale invito al Governo, ma sostiene la necessità di passare da procedure preventive a sistemi autocertificatori, rispetto ai quali il compito della pubblica amministrazione dovrebbe limitarsi al controllo della veridicità dei presupposti dichiarati nella denuncia di inizio attività. In assenza di un'adeguata valutazione della «copertura amministrativa» delle norme proposte, gli obiettivi enunciati nel decreto rischiano di restare allo stato di mere petizioni di principio, così come i termini fissati si espongono al serio pericolo di essere prorogati al momento della loro scadenza: ad esempio, prevedere che una data percentuale dell'ammontare globale dei rifiuti sia devoluta in termodistruzione entro un certo termine, senza che il sistema autorizzatorio vigente consenta agli operatori economici la costruzione dei relativi impianti in un tempo ragionevolmente breve, implica l'inevitabilità della proroga del termine.
Se è vero che in prospettiva la tariffa rappresenta il sistema più corretto per rendere visibile il rapporto tra prezzo e qualità del servizio di smaltimento dei rifiuti, l'oratore esprime però il timore che il passaggio prefigurato nel decreto sia eccessivamente traumatico, specie per le finanze comunali: concorda perciò con la soppressione dell'articolo 47, il cui contenuto potrebbe essere trasfuso in un disegno di legge ordinario; invita poi a considerare il peso che la privativa dei comuni sulla raccolta dei rifiuti solidi urbani eserciterebbe, nel senso di squilibrare il principio della responsabilità condivisa tra comuni ed operatori economici, sancito a livello comunitario.
Dopo aver ricordato che il sistema sanzionatorio ha sofferto dei limiti derivanti dai criteri della delega, guidica necessarie norme sanzionatorie che evitino pendenze attuative dello stesso genere di quelle riscontratesi dopo la legge n. 475 del 1988. Infine, ricorda che la volontarietà dei consorzi contrasta con la previsione di un potere di ratifica ministeriale sui relativi statuti; quanto ai consorzi di filiera, essi dovrebbero essere gestiti da produttori, mentre è giusto che nel consorzio nazionale siano presenti anche i distributori, gli utilizzatori ed i consumatori.
Il senatore BORTOLOTTO, espresso apprezzamento per lo schema di parere del relatore, osserva che l'opposizione ha mostrato un atteggiamento alquanto contraddittorio, facendo discendere una valutazione complessiva negativa da una proposta volta in molti punti a modifiche ed integrazioni migliorative del parere. Dichiarando poi di non condividere il suggerimento di stralciare l'articolo 46, fa presente di comprendere in linea di principio le ragioni a favore del decentramento richiamate dal relatore sul piano della pianificazione, ma non gli risulta tuttavia chiaro il sistema pianificatorio alternativo che si vorrebbe proporre. Concorda altresì sulle valutazioni riferite al sistema autorizzatorio, chiedendo però al Governo di pronunciarsi sulla congruità del termine di 60 giorni proposto per le decisioni delle province e delle Regioni. Prospettata poi l'opportunità che le province si attrezzino autonomamente per effettuare le attività di controllo di cui sono già titolari, giudica eccessivamente dilatorio lo slittamento proposto per il passaggio dalla tassa alla tariffa; esprime infine l'avviso, per quanto riguarda le sanzioni, che la delega non consenta una depenalizzazione dei reati.
Il senatore VELTRI, prendendo atto del gravoso impegno cui sta assolvendo il relatore, contesta il giudizio espresso sullo schema di decreto dal senatore Mantica, secondo il quale sarebbe proposta, in sostanza, una riscrittura del decreto; obiettivo del relatore, così come della maggioranza, è in realtà quello di proporre, nell'esercizio delle prerogative parlamentari, una serie di osservazioni che indichino al Governo un modo per rendere il decreto più efficacemente attuabile e più rispondente agli obiettivi che intende perseguire. Soffermandosi poi su quello che sembra uno dei principali punti di discordia fra maggioranza ed opposizione, sottolinea la validità del ricorso a meccanismi di incentivi/disincentivi per assicurare un effettivo salto di qualità della politica ambientale, senza con ciò imbrigliare il mercato che, come è noto, non svilupperebbe autonomamente attività non immediatamente remunerative: spetta quindi all'apparato pubblico renderle più appetibili. Dichiara quindi di condividere le osservazioni del relatore sull'istituzione della tariffa e sul sistema di pianificazione proposto, pur rilevando che a quest'ultimo riguardo andrebbero chiarite le modalità di realizzazione delle proposte alternative del relatore. Segnalata poi l'opportunità di inserire nel parere un'osservazione relativa al catasto dei rifiuti ed un suggerimento circa la necessità di un chiarimento di quali materiali non siano da considerare rifiuti, esprime in generale l'avviso che lo schema di parere debba essere snellito e reso di più immediata percezione: ciò soprattutto nei punti riferiti alle parti del decreto che si ritengono più qualificanti, anche per assicurare una maggiore facilità di recepimento da parte del Governo delle osservazioni parlamentari.
Il senatore CARCARINO, formulato un giudizio positivo sullo schema di parere, dichiara di non condividere le osservazioni rese dal senatore Mantica in merito agli interventi sui meccanismi produttivi, in quanto il perseguire efficacemente la riduzione dei rifiuti implica necessariamente un'azione sui processi produttivi, definendone modalità e tempi. Dichiarando di concordare con le osservazioni del relatore sul sistema di pianificazione e sull'accentramento dei poteri, nonchè sullo stralcio degli articoli 47 e 53, avanza l'ipotesi di integrare lo schema del parere inserendovi osservazioni in merito agli articoli 30, 31 e 33 e suggerendo una migliore definizione della disciplina sui consorzi e sui trasporti dei rifiuti.
Il senatore MAGGI preannuncia che, laddove il parere proposto dal relatore fosse respinto (come è nei voti del suo Gruppo), presenterebbe uno schema di parere contrario del cui tenore dà conto.
Ricorda anzitutto che in Parlamento sono state già presentate tre proposte di legge che rappresenterebbero, dopo il recepimento delle direttive, la naturale base di partenza per la formulazione e l'emanazione di una legge quadro in materia di rifiuti, come peraltro risultante anche da un ordine del giorno approvato dall'VIII Commissione della Camera in merito al disegno di legge finanziaria per il 1997.
L'attuale sistema normativo in tema di rifiuti appare confuso, disomogeneo, spesso contraddittorio e di difficile interpretazione ed applicabilità. Esso risulta ancora fondato su tre direttive, quelle recepite con il decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982, ormai superate ed aggiornate da altre più adeguate alle attuali esigenze in tema di protezione ambientale. Tale situazione ha comportato nel nostro paese non solo grosse difficoltà per gli operatori sia pubblici che privati, ma ha permesso che soggetti non affidabili si inserissero nelle maglie della gestione, con gravi danni per l'ambiente e per la salute dei cittadini. Conseguentemente va riconosciuta l'urgente necessità di rivedere e razionalizzare l'attuale impianto normativo, partendo da un tempestivo e puntuale recepimento delle direttive comunitarie, allo scopo di realizzare obiettivi di certezza e di chiarezza del diritto.
È doveroso osservare che con la legge delega per recepire le tre direttive (n. 91/156, n. 91/689, n. 94/62) oggetto dello schema di decreto in esame, si è persa un'altra occasione per evitare di attuare con ritardo le normative comunitarie: sarebbe stato necessario inserire nella legge delega anche il recepimento delle seguenti direttive strettamente connesse con quelle che regolamentano l'incenerimento dei rifiuti: n. 89/429 e n. 89/369, riguardanti la riduzione dell'inquinamento atmosferico per gli impianti e nuovi e per quelli esistenti di incenerimento dei rifiuti urbani e da recepire già entro il 31 dicembre 1990; n. 94/67 riguardante l'incenerimento dei rifiuti pericolosi da recepire entro il 31 dicembre 1996.
È quindi evidente che, sebbene si registri un notevole e colpevole ritardo nel recepimento, questo non è fatto in maniera integrale. Si osserva inoltre che essendo il decreto emanato sulla base di una legge delega, esso deve limitarsi esclusivamente ad una trasposizione fedele delle definizioni e dei contenuti riportati nelle direttive. Ma il decreto, anzichè rifarsi ad una trasposizione fedele della terminologia e delle definizioni comunitarie, introduce nella norma nazionale considerazioni interpretative delle definizioni contenute nelle direttive, il che non è consentito ad uno Stato membro in quanto metterebbe in serio pericolo l'uniformità di applicazione delle definizioni nella Comunità, presupposto di un alto livello di protezione ambientale nell'ambito del mercato interno.
Vi è, nel decreto, la manifesta volontà non tanto di recepire integralmente i contenuti delle tre direttive come sarebbe previsto, ma di procedere invece ad un riordino complessivo della normativa nazionale dei rifiuti travalicando i limiti della delega. Il campo di esclusione dell'articolo 5 viene largamente espanso rispetto a quanto indicato dall'articolo 2 della direttiva; le attività di utilizzo diretto dell'articolo 6 rientrano comunque nel campo dei rifiuti secondo la direttiva; la direttiva stessa non prevede alcuna eccezione per impianti particolari, mentre il decreto esclude gli impianti di sperimentazione e ricerca.
Il decreto inoltre non può legittimamente qualificarsi come legge quadro, in quanto manca in esso la vera volontà di razionalizzazione della normativa esistente attraverso il dettato di principi chiari, a tutti comprensibili oltre che rispettosi delle direttive comunitarie, anzi si configura come un evidente e maldestro tentativo del Governo di espropriare il Parlamento della propria prerogativa di potestà legislativa, in una materia che andrebbe normata con legge formale. Del resto, nella delega concessa al Governo dal Parlamento non vi è alcuna «autorizzazione» a normare in materia tributaria a proposito della tariffa sui rifiuti. In ogni caso, si sarebbe dovuto chiaramente indicare che la tariffa non deve essere gravata dall'IVA per non intaccare minimamente gli interessi del cittadino.
All'articolo 3, a proposito della definizione di rifiuto, il decreto in esame rischia di incrementare ed aggravare il rilevante contenzioso che esiste tra il nostro Paese e l'Unione europea in maniera di norme relative alla gestione dei rifiuti. In più parti del decreto si cerca di distinguere tra rifiuti e ciò che non è rifiuto, mentre il rifiuto è tutto ciò che cessa dalla funzione per cui era stato prodotto, ancorchè si presti ad un parziale o totale recupero previo trattamento: appare evidente come anche qui si prevarichino i limiti della legge delega in quanto il legislatore, anzichè rifarsi ad una trasposizione fedele della terminologia e delle definizioni comunitarie, introduce nella norma nazionale considerazioni interpretative di tali definizioni.
All'articolo 4 alcune classificazioni vanno meglio specificate ed integrate. Sarebbe stato meglio e più chiaro definire i rifiuti secondo le attività che li producono; del resto, nella direttiva si parla di attività produttive e manca del tutto il riferimento a rifiuti speciali. Ci si chiede poi se vi è perfetta identità tra un rifiuto pericoloso e un rifiuto tossico e nocivo: ciò di certo creerà imbarazzo ed incertezze a tutti gli addetti al ciclo di gestione dei rifiuti.
Il decreto amplia a dismisura le esclusioni dal campo di applicazione, inserendovi le attività di recupero: questa esclusione appare quindi come un surrettizio tentativo di sottrarre alla disciplina dei rifiuti molti rifiuti e residui industriali. Relativamente alla definizione delle attività inerenti il sistema integrato di gestione, vi sono nel decreto molte definizioni che mancano nella direttiva ed attengono ad attività inerenti il sistema quali: la raccolta differenziata; il trasporto; il luogo di produzione; lo stoccaggio; il deposito temporaneo; le operazioni di preselezione; le operazioni di pretrattamento; le operazioni di bonifica; le operazioni di sicurezza. Tutte queste definizioni andrebbero modificate ed inserite in una norma quadro, a valle del recepimento, indicando sempre i riferimenti comunitari.
In riferimento agli articoli 3 e 16, relativamente alla definizione di bonifica e delle relative operazioni di sicurezza, occorre precisare con fermezza che la bonifica non rientra nella materia dei rifiuti. Infatti il legislatore, prendendo probabilmente spunto dalla frase «precauzioni da prendere in materia di sicurezza» di cui all'articolo 9 della direttiva 91/156/CEE, introduce un articolato riguardante la bonifica dei siti contaminati, non previsto nelle direttive, continuando a considerare in modo concettualmente e tecnicamente errato un sito contaminato come «rifiuto» e quindi assoggettabile alla relativa normativa. È più corretto prevedere che il risanamento, la bonifica ed il ripristino dei siti contaminati siano da gestire con una specifica norma; un sito contaminato è una realtà a sè stante i cui risvolti tecnici, della certificazione e delle autorizzazioni, sono da considerarsi diversi da quelli dei rifiuti.
All'articolo 13 del decreto legislativo in esame, relativamente ai registri di carico e scarico, non si tiene conto che l'articolo 14 della direttiva 91/156/CEE vuole solo che ogni stabilimento o impresa tengano un «registro» in cui siano indicati la quantità, la natura e l'origine dei rifiuti; il decreto dunque richiede notizie in eccesso, prevedendo un «registro di carico e scarico», nè considera casi di gestione più snella.
Il sistema autorizzatorio si è rivelato finora estremamente farraginoso, disomogeneo tra Regione e Regione ed ulteriormente appesantito, negli ultimi tempi, dalla presenza sul territorio delle varie Regioni, delle sezioni provinciali dell'albo nazionale degli smaltitori. Quest'ultimo avrebbe dovuto svolgere un ruolo efficace per evitare che si verificassero deviazioni dalla norma, smaltimenti clandestini, e per garantire la qualità dei servizi da parte degli operatori e delle aziende preposti ai servizi di smaltimento. Esso invece ha costituito per le aziende un ulteriore gravame sia in termini economici (tributi da versare nelle casse locali), sia in termini di
iter
burocratico-amministrativo, ostacolando in più occasioni, anzichè favorirla, una libera iniziativa imprenditoriale. Nel prevedere le autorizzazioni regionali, il decreto non tiene conto che il sistema di certificazione della qualità delle imprese e dei servizi, già da tempo noto ed applicato in molti paesi comunitari, deve essere parte integrante del sistema autorizzatorio per una corretta e snella gestione di tutte le fasi dello smaltimento. Un nuovo regime autorizzatorio deve invece prevedere che l'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente fissi i criteri generali e le specifiche tecniche per le autorizzazioni e che le Agenzie regionali applichino a livello locale tali principi, stabilendo procedure rapide e snelle per il controllo tecnico-amministrativo. Ne consegue che l'autorizzazione regionale deve essere rilasciata soltanto a seguito di «certificazione di qualità» dell'azienda di smaltimento e della tecnologia di trattamento dei rifiuti. Con tali presupposti appare quindi superflua e non più giustificata la presenza dell'albo nazionale degli smaltitori che deve essere quindi eliminato.
Il sistema pianificatorio appare estremamente appesantito, burocratizzato e stratificato. Le competenze attribuite allo Stato attraverso lo strumento della pianificazione nazionale, rigida per sua natura, invalidano l'autonomia regionale in quanto non è prevista in maniera chiara ed inequivocabile la consultazione delle amministrazioni competenti con i settori interessati. Tale atteggiamento o quanto meno tale ruolo attribuito allo Stato appare in controtendenza rispetto alla volontà conclamata da più parti politiche di destrutturare l'organizzazione statuale centralistica, verticistica, data la sua inefficienza, a favore di un federalismo regionale che si realizzi riservando allo Stato il compito di definire i principi, gli obiettivi generali e la normativa tecnica unificante per il Paese, lasciando all'ente locale tutti i rimanenti compiti normativi di programmazione, quelli amministrativi e quelli gestionali. Il ruolo dello Stato, per come appare dal decreto in esame, comporterà così com'è scritto un ineluttabile groviglio di adempimenti e di appesantimenti burocratici.
All'articolo 37 del decreto, poi, non vengono indicate, come invece fa la direttiva, le percentuali minime e massime del recupero e del riciclo e, nell'ambito del riciclo, quelle minime per ogni materiale. Lo strumento consortile trova inoltre la sua utilità quando la materia secondaria da riciclare non ha un apprezzamento sul mercato; nella realtà italiana i consorzi hanno un valore in quanto la privativa dei comuni sui rifiuti richiede uno strumento in grado di creare le condizioni di mercato.
Gli articoli 44 (rifiuti sanitari), 45 (veicoli a motore) e 46 (commercializzazione e marcatura delle pile), vanno pertanto stralciati dal decreto in esame, poichè le discipline che regolamentano tali tipologie di rifiuti sono peculiari e già oggetto di trattazione parlamentare o interministeriale.
Nei piani regionali di smaltimento sono previste deroghe per la utilizzazione di impianti esistenti per la termodistruzione di rifiuti. La volontà di favorire l'ENEL e l'ACNA appare evidente a svantaggio di altri operatori ed in generale delle regole del mercato competitivo.
Il comma 10 dell'articolo 22 deve essere eliminato in quanto dà la possibilità di installare impianti di recupero dei rifiuti anche prodotti da terzi all'interno degli stabilimenti industriali. Ciò significa fare aumentare i livelli di rischio in assenza o quasi di controlli esterni: il decreto prefigura una normativa di evidente favore invece che rifarsi alla direttiva comunitaria.
Relativamente agli impianti sperimentali e di ricerca, la direttiva non prefigura alcun canale preferenziale o aggiramenti della disciplina dei rifiuti, mentre sono previste dall'articolo 29 facilitazioni per gli impianti di ricerca e sperimentazione. Questi, semmai, vanno installati ed autorizzati «a valle» del recepimento delle direttive e con decreti attuativi di un testo unico in materia di rifiuti: l'articolo 29 pertanto deve essere eliminato. Analoghe considerazioni valgono per l'articolo 47, in quanto il Parlamento non ha dato al Governo alcuna delega per normare in materia di tributi.
Il senatore POLIDORO dichiara di condividere lo schema di parere proposto dal relatore ed auspica che si possa pervenire in tempi brevi ad una sua votazione.
Replica agli intervenuti il ministro RONCHI il quale, riservandosi un successivo intervento in merito ai punti che necessitano di un'analisi di fattibilità, si rimette alla Commissione sulla proposta relativa allo stralcio dell'articolo 46, mentre analoga disponibilità non può assicurare per la parte relativa ai veicoli a motore dal momento che la demolizione senza recupero rappresenta un grosso problema ambientale. Condivide in linea di principio la parte relativa agli interventi sui cicli produttivi, ma dichiara che quanto proposto dal relatore potrebbe essere inserito nel decreto solo in forma di disposizioni programmatiche, dal momento che la previsione di incentivi economici e fiscali non rientrerebbe nell'ambito della delega e soprattutto non avrebbe una copertura finanziaria. Per quanto concerne la pianificazione, chiarisce che il piano nazionale proposto nell'ambito del decreto consterebbe in realtà di mere norme tecniche volte a quantificare gli obiettivi da raggiungere, gli
standards
da rispettare ovvero i valori di riferimento delle tariffe, vale a dire elementi che non potrebbero che essere definiti a livello nazionale; d'altra parte, è prevista una verifica in sede comunitaria successivamente al recepimento nei vari paesi delle direttive sui rifiuti ed in tale sede occorrerà portare i dati relativi alla percentuale di autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti raggiunta da ciascuno Stato membro. Segnalato poi che l'osservatorio proposto dal relatore importerebbe oneri privi di copertura, per cui meglio sarebbe prevedere di affidare i compiti di raccolta ed elaborazione dei dati a strutture già esistente quali l'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente o il Ministero dell'ambiente, condivide il prospettato maggiore coinvolgimento degli enti locali ma segnala altresì che a tale risultato non potrebbe pervenirsi se non richiamandosi a quanto già previsto dalla legge n. 142 del 1990. Quanto agli ambiti territoriali ottimali, fa presente la necessità di non sottovalutare le convenienze che in generale sono connesse con ambiti di bacino più ampi di quello comunale; dichiara comunque la disponibilità ad accogliere il suggerimento di non limitare ai soli rifiuti solidi urbani le disposizioni riferite ai comuni nell'ambito dell'articolo 23. Dopo aver affermato che la definizione degli accordi di programma non può che avvenire a livello nazionale, si dichiara disponibile a riformulare in modo più chiaro la parte relativa alle autorizzazioni, nonchè ad eliminare l'autorizzazione stessa per i casi non coperti da un obbligo comunitario, ma fa presente altresì che data la grande debolezza dell'apparato di controllo, un'eccessiva semplificazione potrebbe prestarsi ad abusi e illegalità. Per quanto riguarda le osservazioni sulla tariffa, dichiara di non condividere la convinzione che il sistema tariffa si tradurrebbe in un aggravio di costi, essendo invece convinto che, mirando tale sistema ad una razionalizzazione e rendendo possibile l'attivazione di una concorrenzialità nel servizio di smaltimento, nel futuro si tradurrà necessariamente in una riduzione dei costi; in ogni caso, su uno slittamento per l'applicazione dell'articolo 47 potrebbe convenire, pur ritenendo che il termine proposto dal relatore sia troppo lungo.
Il seguito dell'esame è rinviato.
CONVOCAZIONI DELLA COMMISSIONE
Il presidente GIOVANELLI avverte che la seduta della Commissione, già convocata per stasera alle ore 20,30 non avrà più luogo.
Il presidente GIOVANELLI avverte altresì che la seduta della Commissione, già fissata per domani, mercoledì 13 novembre, alle ore 15 avrà inizio alle ore 16; la Commissione è nuovamente convocata nella stessa giornata di domani, mercoledì 13 novembre, alle ore 20, con lo stesso ordine del giorno della seduta pomeridiana.
Prende atto la Commissione.
La seduta termina alle ore 18,15.