Il Presidente: Discorsi

Convegno "Poveri perché soli"

8 Ottobre 2009

Un cordiale saluto alle Autorità, agli organizzatori, a quanti interverranno e a tutti i presenti.
Rivolgo un saluto particolare a Sua Eminenza il Cardinale Angelo Bagnasco, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, che ringrazio per il contributo che offre sempre con autorevolezza ed equilibrio per la crescita e lo sviluppo del Paese e dei suoi cittadini.
Il tema del nostro incontro è davvero significativo: "Poveri perché soli".
Nel nesso tra povertà e solitudine c'è forse la chiave per comprendere come la dimensione individuale e la dimensione comunitaria non possano mai tenersi separate: dove si nega l'una, anche l'altra ne risulta in qualche misura sterilizzata.

In altri termini, la povertà non è solo un problema del singolo, ma anche dell'intera comunità.
La povertà non si risolve infatti solo grazie al contributo che si dà al singolo individuo, ma attraverso il superamento di uno stato di solitudine ed isolamento che colpisce i più deboli e gli indifesi.
Il povero di oggi non è solo o semplicemente l'indigente, ma anche la persona emarginata, isolata, esclusa dalla condivisione comunitaria della propria esistenza, della propria personale ricchezza umana.
Così intesa, la povertà non può apparire in modo riduttivo come sinonimo di impoverimento.
La povertà è innanzitutto umiliazione e significa privare la persona della sua dignità, della sua serenità, in ultima istanza della sua stessa inalienabile libertà.

Il rapporto che oggi viene presentato è di strettissima attualità.
Permettetemi a questo punto una brevissima digressione.
Mi sembra, di fronte a lavori e ad analisi così approfonditi e in grado di porre domande alle quali si deve dare una risposta concreta, che sia davvero urgente e decisivo riportare l'asse della politica sulle reali priorità e sui bisogni veri dei cittadini.
Non è pensabile che la politica di un Paese avanzato possa essere calibrata a seconda delle convenienze del momento su temi destinati poi a svanire nel nulla di fronte alle vere emergenze: una classe dirigente deve saperle affrontare per il bene comune, il bene di tutti i cittadini, il bene della nazione.
E' davvero tempo di tornare alla politica del rispetto, che pur nella contrapposizione serrata di idee e progetti, sappia ascoltare e recuperare quel senso di appartenenza e civiltà che sono l'indispensabile premessa perché il Paese possa crescere in benessere, equilibrio e solidità.
Dentro le istituzioni e nel rispetto dovuto ai ruoli esercitati da ciascuno, devono realizzarsi il confronto, la dialettica, le possibili e sempre auspicabili sinergie.

La maggioranza e l'opposizione sono decise dal voto del popolo.
Vie di fuga parallele non sono praticabili: opporsi alla maggioranza è innanzitutto compito dell'opposizione parlamentare, che si esprime con l'autorevolezza che le ha conferito l'esito elettorale.
L'unica sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Altri mezzi assomigliano ad espedienti di chi vuole aggirare il consenso popolare attraverso pratiche estranee alla sana politica.
Tali tentativi non sarebbero compresi, né tanto meno accettati dalla maggioranza dei cittadini.
Dobbiamo tutti ricordare la fonte ed il fine ultimo di ogni istituzione che opera in uno stato democratico: il popolo.
Non esistono alternative; quando il popolo si esprime va rispettato. Chi ne ha paura tradisce la propria missione.

Siamo oggi di fronte ad una crisi di sistema grave.
E' necessario che dentro il Parlamento maggioranza e opposizione, legittimate dal consenso popolare, diano una vera prospettiva al paese.
Serve equilibrio ma anche chiarezza; da qui si deve tutti insieme ripartire per il bene dell'Italia e dei nostri figli.
Dal Rapporto che viene oggi presentato emergono degli elementi estremamente interessanti.
Innanzitutto, si evidenzia il dato che il tema della povertà non riguarda solo il Sud del Paese, ma anche ampie aree delle Regioni più ricche del Nord, quali, ad esempio, il Veneto e la Lombardia.
Certamente il divario esistente tra Nord e Sud incide anche per i problemi della qualità e del tenore di vita dei cittadini, ne amplifica la portata soprattutto nelle regioni più svantaggiate, e in definitiva rappresenta il terreno di prova di ogni politica che ambisca all'ammodernamento del Paese.
L'Italia non può competere senza un salto di qualità di tutte le Regioni meridionali.

Un salto di qualità vero passa attraverso nuove infrastrutture, nuovi investimenti produttivi e di rilancio dei tesori d'arte, paesaggio, cultura che hanno dato al mondo l'immagine più nobile del Paese.
Ma anche le realtà locali devono fare la loro parte: serve una nuova stagione di moralità pubblica fatta di intransigenza nell'affermare la cultura della legalità e della trasparenza, contro ogni forma di convenienza e illegalità.
Serve uno scatto d'orgoglio per dire con coraggio: il Sud non è la mafia, ma combatte ed è contro la mafia; il Sud non vuole assistenzialismo, ma chiede vero sviluppo; il Sud non è al traino di altri, ma si propone come protagonista della vita del Paese e per il suo rilancio.
I poveri sono anche i cittadini sfruttati dalla criminalità, le voci alle quali è imposto il silenzio.
Ancora una volta la povertà e la solitudine sono realtà tra loro intrecciate, in una relazione di causa ed effetto che difficilmente può sciogliersi.

I risultati dell'indagine che viene oggi presentata appaiono estremamente puntuali proprio nell'indicazione delle cause che sono alla base dei cosiddetti "nuovi poveri".
Oggi può rischiare di diventare povero chi accoglie un familiare malato; chi vive la disgregazione familiare.
Ebbene, siamo di fronte ad una vera e propria sfida. Dall'indagine emerge, con la serietà di dati inconfutabili, che oggi chi accoglie la vita si assume rischi nuovi: povertà, insuccesso, dipendenza.
La nascita di un figlio, il sostegno ad un genitore anziano, l'aiuto ad un familiare disabile, tutti gesti di solidarietà e umanità, richiedono coraggio, non sono più comportamenti che un tempo sarebbero apparsi "normali", ma hanno quasi dello straordinario.
Con grande lucidità l'indagine ci indica che il legame tra accoglienza della vita e povertà è una nuova frontiera che ci troviamo di fronte.
Non possiamo allora accettare la logica e il paradosso che sia più conveniente lasciare sole le persone che ci stanno accanto o chiudersi alla prospettiva della vita, per avere successo, per realizzarsi o per vivere meglio.

Il recupero di una dimensione etica dell'agire quotidiano, di un senso di responsabilità più alto che ci rende partecipi del destino degli altri, va sostenuto con una affermazione chiara della centralità del valore della persona e con la realizzazione di politiche concrete che sappiano soccorrere, aiutare, supportare i cittadini e le famiglie in difficoltà; sono politiche sulle quali quotidianamente il governo si confronta.
Superare le più gravi situazioni di povertà significa cogliere il senso di una relazione che si sviluppa in una comunità coesa e solidale, la promuove e la sostiene.
Riprendendo la traccia ideale che il titolo del nostro incontro evocava, la solitudine può rendere vulnerabili e quindi poveri ciascuno di noi.
Vincere la solitudine significa essere consapevoli di tutti i bisogni della persona, della complessità dei legami che garantisce il succedersi delle generazioni.

Come ha affermato Benedetto XVI, "La domanda del pane quotidiano per tutti è essenziale proprio nella sua concretezza terrena. Altrettanto, però, essa ci aiuta anche a superare l'aspetto puramente materiale".
Sarebbe infatti ingannevole pensare di risolvere il problema della povertà attraverso l'utopia di un nuovo materialismo o solo con il denaro.
La compassione non basta. Serve uno spirito di autentica gratuità che dia la motivazione dei gesti ed ispiri le condotte, al di là delle soluzioni più immediate e sbrigative.
La gratuità va vissuta come un dovere morale, come l'espressione del riconoscimento di diritti inalienabili di ogni uomo, in ogni tempo.
Madre Teresa di Calcutta diceva: "Molti parlano dei poveri, ma pochi parlano con i poveri".
Eppure è proprio dall'incontro con l'altro, dalla parola ascoltata e dalla parola pronunciata, che può nascere in noi la consapevolezza piena del disagio vissuto da chi si sente solo, abbandonato, umiliato, che non ha più la forza neppure di piangere, che si chiude e muore nella propria disperazione in una società che rincorre miti e che deve, invece, fermarsi di fronte a chi chiede aiuto.

"La fame non dipende tanto da scarsità materiale, quanto piuttosto da scarsità di risorse sociali, la più importante delle quali è di natura istituzionale", ha affermato Benedetto XVI.
Dalle istituzioni può venire allora la forza e l'autorevolezza di un'indicazione per riprendere la strada: la via dell'affermazione di una identità arricchita che sappia partire proprio dall'incontro con il più debole, l'emarginato, l'escluso, per recuperare una prospettiva, un avvenire.
Superando la debolezza, la tristezza, la solitudine del povero, ognuno di noi è un po' meno solo, acquista una ricchezza superiore alla sola accumulazione materiale.
La povertà, come sosteneva Paolo VI, è anche quella di un "mondo che soffre per mancanza di pensiero".
Quel pensiero che ci porta ad avere rispetto, prima ancora che pretendere rispetto; che fa sentire ciascuno di noi debitore di qualcosa; che fa riscoprire il senso di una speranza nella condivisione di un'esperienza.
Vi ringrazio.



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