Il Presidente: Discorsi

Forum Internazionale Confcommercio

Discorso pronunciato in occasione del Forum Internazionale Confcommercio a Villa d'Este di Cernobbio sul tema "I protagonisti del mercato e gli scenari per gli anni 2000"

16 Marzo 2008

Signore e Signori,

sono lieto di tornare al vostro Forum, ad un anno distanza, per un confronto sulla situazione del nostro Paese. Ringrazio perciò il Presidente Sangalli per l'invito. Lo scenario economico è tornato ad essere critico.

La crescita economica occidentale è debole e, quando il quadro internazionale rallenta, noi rischiamo di fermarci. Negli ultimi 7 anni, solo nel biennio 2006 - 2007, abbiamo avuto una crescita vicina al 2%, mentre negli altri periodi siamo stati al di sotto dell'1% in media. Abbiamo una capacità di sviluppo che è quasi la metà di quella dei nostri Partner europei. E questo significa che, nel 2008, noi faremo circa mezzo punto percentuale di crescita del Prodotto lordo.

Questo è il tema di fondo, dal quale bisogna partire e sul quale bisogna intervenire. Senza rimanere vittime di una possibile visione declinista, ovvero di chi dice che saremmo, irreversibilmente, condannati ad uscire dalla scena dei maggiori Paesi sviluppati.

Non ho mai creduto, neanche in anni più difficili di questi, e non credo, oggi, in alcun modo, alla teoria del declino. Le imprese industriali italiane, negli anni recenti, a fronte di una lieve ripresa internazionale hanno conseguito importanti risultati di espansione delle esportazioni, dimostrando di essere forti e vitali, in grado di stare da sole sui mercati mondiali, di competere, di conquistare nuove quote di mercato.

Siamo andati avanti anche con un rapporto sfavorevole nel cambio tra euro e dollaro, con un altissimo costo del petrolio e dell'energia, e, voglio dirlo, con la difficoltà a porre in essere stabili e durature politiche pubbliche di sostegno. Non c'è, dunque, una debolezza strutturale del Paese.

Occorre, però, agire con tempestività di fronte alle sfide dell'oggi, legati come siamo a trasformazioni geo-economiche che superano i nostri ristretti confini. Ci vogliono, però, interventi mirati e prolungati nel tempo.

Interventi capaci di influire sulla struttura sociale capillare del Paese, per avere un rilancio complessivo del sistema e una più attiva partecipazione di tutti, dei cittadini, delle famiglie. Penso al miglioramento strutturale del livello dei salari e dei redditi individuali e familiari, anche in relazione alla produttività.

L'OCSE ci pone al 23° posto, come livello dei salari, fra i Paesi più avanzati. Come si possono sostenere i consumi e la domanda interna con livelli di reddito così bassi?

Tutti sanno che le moderne economie basano larga parte della loro vera crescita sulla produzione e sul consumo interno. Ma se questa parte del sistema non funziona come si può crescere e distribuire a tutti benessere e ricchezza?

Sono anch'io convinto che, tra le soluzioni da adottare, vi è anche quella di una diminuzione del carico fiscale, con varie modalità, e soprattutto a vantaggio dei redditi medi e bassi.

Ma questa giusta azione di riequilibrio può essere efficace solo con una ferma capacità di controllo dei conti pubblici, con un recupero delle aree di evasione e con una concreta diminuzione della spesa pubblica e della sua continua tendenza al crescere. Credo che questi anni hanno insegnato a tutti che non ci sono ricette o scorciatoie semplicistiche.

Che promettere cose irrealizzabili o, peggio, tentare di farle fuori da un quadro di compatibilità finanziarie europee, può produrre danni maggiori dei problemi che si vogliono risolvere. La nostra crescita economica, per attestarsi ai livelli medi europei, ha bisogno di una cura strutturale prolungata e coerente.

Penso agli indispensabili investimenti nell'istruzione, nella ricerca e nella formazione; ad una politica di medio-lungo periodo per le fonti energetiche alternative al petrolio; ai necessari interventi infrastrutturali materiali e tecnologici; alla lotta alla criminalità organizzata che penalizza le imprese industriali e commerciali, specie nel Mezzogiorno.

Per mettere in moto queste politiche una cosa è indispensabile: la modernizzazione della pubblica amministrazione, e la semplificazione e la liberalizzazione di molte procedure e servizi. Il nostro è un sistema amministrativo datato e barocco, con sovrapposizioni di enti e uffici che si occupano delle stesse cose, con procedimenti che si rivelano pastoie inestricabili e, alla fine, causa di vere e proprie diseconomie.

Negli anni passati si era diffuso il convincimento che non ci fosse più bisogno dello Stato e dell'azione pubblica, perché attraverso il mercato - in una visione di liberismo spinto - l'economia avrebbe trovato la sua capacità di crescita.

Non devo spendere molte parole per evidenziare come, oggi, nella globalizzazione economica - con la crescita tumultuosa di immensi Paesi, e con gravi squilibri in altre aree del mondo - la domanda di politica, di regole, di intervento pubblico, di strutture di supporto sia pressoché unanime.

Di recente anche un famoso economista ultraliberista, un Premio Nobel, ha riconosciuto che alcune sue teorie non erano più in grado di affrontare la complessità odierna e che occorre una nuova politica pubblica e regole istituzionali per le società contemporanee e per i rapporti tra di loro.

Non penso certo a politiche protezionistiche o a forme antistoriche di barriere doganali: la nostra forza è sempre stata nella capacità di avere relazioni aperte con il mondo, anche con aree difficili e competitive. Un altro punto cruciale, per la fiducia e la continuità del nostro sviluppo economico e sociale, è quello dei giovani. In questi anni si è creata troppa incertezza, troppa precarietà, per l'ingresso dei giovani nel mondo del lavoro.

Si è confusa la necessaria flessibilità con la precarietà, coinvolgendo in modo massiccio un'intera generazione. Bisogna dare una prospettiva chiara ai giovani, e alle loro famiglie; bisogna favorire la stabilità del lavoro, anche per programmare meglio le proprie scelte esistenziali e familiari. Anche questa, nelle attuali difficoltà, è una strada per la ripresa della domanda interna.

Senza uno scenario positivo è chiaro che l'inquietudine sociale può aumentare come succede in questi anni. La sfida ha la connotazione della crescita, della stabilità e dell'integrazione europea.

Quando parlo di stabilità è chiaro che penso anche alla politica e alle Istituzioni di governo. Veniamo da quasi quindici anni di bipolarismo forzato e muscolare, di coalizioni contrapposte, costruite per battere il nemico e non per governare il Paese.

Il mio auspicio è che la campagna elettorale si mantenga sui contenuti, sui problemi veri del Paese. Perché gli elettori possano poi valutare le proposte, e la credibilità delle forze politiche che le avanzano.

Lo sforzo di omogeneità programmatica, che ha compiuto la maggiore forza politica di centro-sinistra, è divenuto un modello di riferimento anche per l'altro campo politico.

Per questo ritengo che sia indispensabile richiamare l'impegno delle principali Forze politiche e sociali verso alcune questioni di carattere fondamentale per il nostro Paese al fine di trovare, concordemente, soluzioni in grado di rinnovare lo slancio e la crescita dell'Italia nel mondo. Non mi piace ricorrere ad espressioni ad effetto.

Ma è mio fermo convincimento che tutta la vita pubblica, e quindi non solo la dimensione della politica, ma anche quella degli apparati delle pubbliche amministrazioni, debbano impegnarsi in una vera "rivoluzione", che ponga al centro il cittadino con i suoi problemi concreti.

In sintesi, bisogna prendere consapevolezza che l'efficacia dell'azione politica ed amministrativa è condizione fondamentale per la ripresa. Siamo in campagna elettorale.

Una campagna elettorale che - come ho più volte detto anche in occasione dello svolgimento del mandato che mi è stato conferito dal Presidente della Repubblica - pensavo opportuno rimandare solo di pochi mesi: giusto il tempo necessario per modificare la legge elettorale vigente, fonte di instabilità e chiusa alla possibilità di rendere i cittadini pienamente partecipi della scelta dei propri rappresentanti politici.

Tutti noi politici dovremmo provare disagio di fronte al Paese per non aver cambiato una legge elettorale che ora tutti i commentatori indicano come veicolo di una possibile nuova situazione di instabilità. Tutti, ho detto: certo chi più e chi meno.

Oggi mi accontenterei di ascoltare l'impegno di mettere le mani radicalmente su questa legge subito, all'inizio della nuova legislatura. Si tratta di uno "strumento" inservibile che genera incertezza ed instabilità in un Paese che ha bisogno di una forte azione di governo e quindi di autorevolezza delle istituzioni.

Sicuramente come tutti voi, sento parlare di un possibile risultato di parità. In qualche caso come di un auspicio. Certo, resto convinto che comunque alcune riforme di cui c'è urgente bisogno occorre farle con larga maggioranza parlamentare. Ma il mio auspicio è quello che dalle prossime elezioni esca una chiara maggioranza di governo ed un programma approvato dalla maggioranza dei cittadini. Di questo ha bisogno l'Italia.



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