Il Presidente: Discorsi

Fiera agricola di Verona

Discorso pronunciato a Verona in occasione della 108ma Edizione di Fieragricola

8 Febbraio 2008

Autorità,
Signore e Signori,
ho accettato con piacere l'invito dei dirigenti della Fiera ad essere qui a Verona in occasione di una manifestazione del mondo agricolo fra le più prestigiose a livello internazionale.
Strutture ed eventi come questi sono davvero importanti per valorizzare la professionalità delle nostre imprese, per promuovere l'indiscussa qualità delle produzioni italiane e per rafforzare, con fiducia, l'immagine dell'Italia nel mondo.

Ringrazio Nomisma per la ricerca che ha condotto sulla competitività dell'agricoltura italiana: uno studio che offre spunti operativi e di riflessione per contribuire al consolidamento di uno dei settori di maggior rilievo per la nostra economia.
Ho molto apprezzato il dibattito sin qui svolto.

Sono stati toccati temi e problemi veramente importanti per il settore dell'agricoltura e delle filiere collegate.
Il mio non sarà un intervento conclusivo ma, piuttosto, una breve riflessione che prenderà spunto da alcuni risultati della ricerca che viene qui oggi presentata.
Senza dubbio all'agricoltura italiana si offrono, oggi, nuove opportunità di sviluppo e di crescita legate all'ampliamento e alla sempre più rapida apertura dei mercati internazionali.

In questo contesto, il nostro Paese può vantare una posizione di vantaggio rispetto ad altri dovuta alla presenza di produzioni tipiche ad elevato valore aggiunto, sempre più specializzate, e con garanzie di qualità per il consumatore.
Complessivamente, il sistema dell'agricoltura italiana valorizza e offre a livello nazionale e all'estero moltissimi prodotti particolari, frutto delle nostre diverse tradizioni territoriali, ma anche risultato di attente iniziative di ricerca che hanno contribuito al decisivo miglioramento di taluni nostri prodotti, facendo loro raggiungere alti e riconosciuti livelli di eccellenza.

A partire da queste risorse e da queste potenzialità - che fanno dell'agricoltura una risorsa di straordinario valore per l'economia italiana - è auspicabile un rinnovato impegno, a tutti i livelli, per sostenere il percorso delle imprese agricole nel rafforzamento della loro competitività interna ed internazionale.
Le piste di lavoro sono state ben sottolineate nello studio e negli interventi che ho ascoltato.

Vorrei solo sottolineare la necessità di accrescere l'integrazione fra le politiche agricole ed altri settori strategici: penso al turismo, al commercio, alla trasformazione e alla ristorazione, ma anche all'ambiente e al paesaggio.
La bellezza dei nostri territori è anche il risultato di secoli di lavoro agricolo specializzato e differenziato: questo è un vero e proprio bene culturale che dobbiamo preservare e valorizzare come carattere costitutivo dell'Italia.

Occorre, però, agire con tempestività di fronte alle sfide dell'oggi, legati come siamo a trasformazioni geo-economiche che superano i nostri ristretti confini.
Se, infatti, è vero che l'agricoltura italiana è ormai uno dei pilastri forti del Paese, dobbiamo guardare però ai problemi complessivi della nostra economia.
Negli ultimi 7 anni solo per due anni - nel 2006 e nel 2007 - abbiamo avuto una crescita vicina al 2%, mentre negli altri periodi siamo stati al di sotto dell'1% in media.

Abbiamo una capacità di sviluppo che è quasi la metà di quella dei nostri Partner europei.
Questo è il punto di fondo sul quale bisogna intervenire.
Mettendo da parte ogni possibile visione declinista, ovvero di chi dice che saremmo, irreversibilmente, condannati ad uscire dalla scena dei maggiori Paesi sviluppati.
Non credo in alcun modo alla teoria del declino.
Le nostre imprese industriali, negli anni recenti, a fronte di una leggera ripresa internazionale hanno segnato importanti indici di espansione delle esportazioni, dimostrando di essere forti e vitali, in grado di stare da sole sui mercati mondiali e di competere.

E questo anche in condizioni di un rapporto sfavorevole nel cambio tra euro e dollaro, di altissimo costo del petrolio e dell'energia, di assenza di politiche pubbliche di sostegno.
Non c'è, dunque, una nostra debolezza strutturale.
Ci vogliono, però, interventi mirati e prolungati nel tempo.
Penso, ad esempio, al tema dell'efficienza della Pubblica amministrazione e dello Stato più complessivamente.
Usciamo appena da un lungo periodo nel quale si era diffuso il convincimento che non ci fosse più bisogno dello Stato e dell'azione pubblica, perché attraverso il mercato - con una visione di liberismo spinto - l'economia avrebbe trovato la sua capacità di crescita che avrebbe fatto sviluppare anche la società.

Non devo spendere molte parole per evidenziare come, oggi, nella globalizzazione economica e sociale - con la crescita tumultuosa di nuovi immensi Paesi, e con gravi squilibri in altre aree del mondo - la domanda di politica, di regole, di intervento pubblico, di strutture di supporto sia pressoché unanime.
Di recente anche un famoso economista ultraliberista, un Premio Nobel, ha riconosciuto che alcune sue teorie non erano più in grado di affrontare la complessità odierna e che occorre una nuova politica pubblica e regole istituzionali per le società contemporanee e per i rapporti tra di loro.

E' chiaro che c'è un problema serio di efficienza del sistema pubblico e delle Istituzioni. Ricordo solo che, con la chiusura anticipata della Legislatura, sono caduti provvedimenti importanti, prossimi al traguardo, come quello della completa attuazione dello sportello unico per le imprese.
Penso poi al tema delle infrastrutture, della viabilità, dei porti, delle ferrovie veloci, degli aeroporti: su tutti questi aspetti abbiamo accumulato troppo ritardo.
Credo che buone e moderne infrastrutture, realizzate con progetti concretamente attenti alla qualità ambientale, siano indispensabili per dare al nostro Paese quella rete di collegamenti interni e internazionali senza i quali le nostre merci non possono arrivare in tempo sui mercati, o senza le quali il turismo non può arrivare alle dimensioni che da anni auspichiamo.

Ma il punto che considero cruciale, per il nostro sviluppo economico e anche per quello sociale, è quello dei giovani.
In questi anni si è creata troppa incertezza, troppa precarietà, per l'ingresso dei giovani nel mondo del lavoro.
Si è confusa la necessaria flessibilità con la precarietà, coinvolgendo in modo massiccio un'intera generazione.
Credo proprio che su questo punto sia urgente fare delle modifiche, rafforzando anche gli investimenti nella formazione, nella scuola, nell'università, nella ricerca applicata.

Bisogna dare una prospettiva chiara ai giovani, e alle loro famiglie; bisogna favorire la stabilità del lavoro, anche per programmare meglio le proprie scelte esistenziali e familiari.
Senza uno scenario positivo è chiaro che l'inquietudine sociale può aumentare come succede in questi anni.
La nostra sfida è quella della crescita e della stabilità, dell'integrazione europea, per migliorare anche, strutturalmente, il livello dei salari e dei redditi individuali e familiari.

Quando parlo di stabilità è chiaro che penso anche alla politica e alle Istituzioni di governo.
Veniamo da quasi quindici anni di bipolarismo forzato e muscolare, di coalizioni contrapposte, costruite per battere il nemico e non per governare il Paese.
La situazione degli ultimi anni si è poi aggravata per effetto di una legge elettorale sbagliata che ha prodotto uno squilibrio reale tra le due Camere, con una instabilità permanente e una patologica tendenza alla frammentazione individualistica.

Alle elezioni del 2006 i cittadini non erano consapevoli degli effetti di una legge cambiata a maggioranza nei mesi precedenti.
Una legge che ha espropriato gli elettori del diritto di scegliere i propri rappresentanti e che ha determinato risultati diversi tra le due Camere.
Il Presidente della Repubblica, dopo la crisi del governo Prodi, ha avuto questa viva preoccupazione.
E' in questo spazio che è nato il mandato che ho espletato nei giorni scorsi per verificare l'esistenza di una maggioranza per approvare una riforma elettorale più razionale e che restituisse ai cittadini il diritto di partecipare a scegliere i rappresentanti.

Nonostante le preoccupazione di tutte le categorie economiche e sindacali, dell'opinione pubblica, e anche delle stesse forze politiche, non ho potuto riscontrare le condizioni per un accordo che consentisse di far nascere un governo per questi obiettivi, e andare poi al voto a giugno prossimo.
Adesso la parola torna ai cittadini con le elezioni di aprile.
Il mio auspicio è che si vada ad una campagna elettorale sui contenuti, sui problemi veri del Paese, senza promesse infondate, ma con la serietà degli obiettivi raggiungibili.

Perché gli elettori possano poi valutare le proposte, e le capacità delle forze politiche che le avanzano, di realizzarle.
Lo sforzo di semplificazione e di omogeneità programmatica, che sta compiendo la maggiore forza politica di centro-sinistra, può essere un modello di riferimento anche per l'altro campo politico.

Superare la frammentazione, costruire coesione e omogeneità di alleanze, assicurare stabilità: è una ricetta nuova per la politica di oggi.
Ma, in tempi certo non più facili di quelli odierni, è stata la ricetta che ha portato l'Italia fuori dalle macerie della guerra e l'ha fatta entrare, strutturalmente, fra le maggiori potenze del mondo.



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