Il Presidente: Discorsi

In ricordo di Bruno Trentin

Discorso pronunciato a Imola (Palazzo Sersanti) in occasione della commemorazione di Bruno Trentin

25 Gennaio 2008

Signore e Signori,
ringrazio tutti coloro che hanno organizzato questo incontro e, in particolare, gli amici che mi hanno invitato a ricordare Bruno Trentin. Ho avuto con lui una amicizia cordiale, anche su posizioni diverse, e ho sempre apprezzato la sua capacità di riflessione fuori da schemi rigidi.

In una intervista televisiva (a RAI Educational il 30 marzo 1998, davanti ad una platea di studenti) Bruno Trentin parlava così di se stesso: «Ho passato tutta una vita nel lavoro sindacale. Probabilmente questa scelta l'ho fatta perché ho scoperto, fin da giovane, nella classe lavoratrice, una straordinaria voglia di conoscenza e di libertà, proprio in quei lavoratori che non avevano avuto la fortuna di un'educazione, di partecipare ad un'esperienza di studi. Proprio lì ho trovato il bisogno, molto più grande di quello di avere un alto salario, di diventare persone libere, di esprimersi attraverso il proprio lavoro liberamente, di conoscere. Questa è la cosa che mi ha profondamente affascinato e che mi ha dato la voglia di mettermi al servizio di questa causa».

In questa visione emergono le motivazioni di un vero sindacalista, interlocutore e interprete delle esigenze dei lavoratori non solo per le rivendicazioni salariali e contrattuali, ma anche per le prospettive del lavoro di fronte alle trasformazioni economiche e sociali.

Il ruolo della famiglia fu importante per la sua formazione e la sua militanza nella sinistra. Bruno Trentin nasce in Francia, dove la famiglia si era rifugiata a causa delle persecuzioni del regime fascista nei confronti del padre. Della sofferenza della sua famiglia durante l'esilio, ma anche del suo disgusto verso il totalitarismo, Bruno Trentin ha lasciato una traccia nella prefazione all'autobiografia di Paolo Treves "Quello che ci ha fatto Mussolini", un'opera, che Trentin considerava dopo cinquant¿anni attuale come «la testimonianza sofferta, angosciata, di un giovane negli anni '20 e '30 che si misura non con le terribile angustie del carcere a vita o con le torture, ma con l¿oppressione di uno stato di polizia in un paese apparentemente pacificato e "conquistato", con un "fascismo della vita quotidiana", nella sua atroce banalità... In un paese che dimenticava e si richiudeva in se stesso, in un paese in cui si dissolvevano le amicizie e finanche le normali relazioni quotidiane. Dove emergevano.... le forme più miserabili di conformismo e di opportunismo, che anticipano e amplificano a dismisura, senza più bisogno dell'intervento autoritario, i comportamenti desiderati dalla dittatura».

L'ambiente culturale in cui si forma Bruno Trentin - fatto di convinti e coraggiosi esuli antifascisti, riuniti attorno alla libreria gestita dal padre a Tolosa - è frequentato da Emilio Lussu, Carlo Rosselli, Giovanni Amendola e suo figlio Giorgio, Pietro Nenni. Amici della sua famiglia e suoi esempi giovanili furono anche Norberto Bobbio, Gaetano Salvemini. Spinto da queste radicate convinzioni, già durante l¿adolescenza in Francia, mentre ancora frequentava il liceo a Tolosa, Trentin finisce in carcere per avere organizzato, insieme ad altri, un gruppo insurrezionale contro l'invasione dei tedeschi. Fu poi anche, durante la Resistenza, capo di una brigata partigiana nel movimento "Giustizia e libertà".

Pur in anni così difficili i suoi studi e la sua formazione universitaria ebbero un respiro internazionale in Europa e negli Stati Uniti. Nei primi anni Cinquanta Trentin inizia a lavorare nell'Ufficio studi economici della CGIL, diretto da Vittorio Foa, uno dei vice segretari dell'organizzazione guidata da Giuseppe Di Vittorio. Fin dai suoi primi elaborati emerge l'interesse ai temi della condizione dei lavoratori rispetto ad una società in rapido mutamento, ma anche, soprattutto dopo l'invasione sovietica in Ungheria nel 1956, l'attenzione politica al ruolo del sindacato e di una sua maggiore autonomia.

Nel 1950 Trentin si iscrive al Partito comunista italiano, diventando membro del Comitato centrale dal 1960 al 1973. Viene eletto nelle liste del PCI consigliere comunale a Roma per oltre dieci anni e, alle elezioni politiche del 1963, è eletto Deputato per la IV legislatura (1963-1968).

Il suo impegno parlamentare, fu sempre a difesa dei lavoratori e, in un intervento alla Camera sul processo di trasformazione industriale in corso, si dichiarò «contro una politica che non salvaguarda l'autonomia delle scelte di politica economica dello Stato in settori vitali (¿), contro una politica che rinuncia a dotare alcuni settori strategici dello sviluppo economico italiano di una attrezzatura di ricerca e di progettazione che sia effettivamente collegata agli indirizzi generali di politica economica dello Stato».

Considerando prevalente l'impegno nel Sindacato, e per la sopravvenuta incompatibilità con il mandato parlamentare, decide di non ricandidarsi alle successive consultazioni politiche. Bruno Trentin viene così eletto vice segretario della CGIL già nel 1958, e diviene poi, dal 1962 al 1977, Segretario generale della FIOM, la Federazione degli operai metalmeccanici.

Sono anni cruciali: la contestazione del Sessantotto, l'autunno caldo, gli scioperi a oltranza, l'occupazione delle fabbriche e delle università. Ma sono anche gli anni di importanti conquiste civili e sociali. Spesso tacciato di essere un "sindacalista intellettuale", per il suo impegno culturale e la peculiare attitudine all'approfondimento, la lungimiranza di Trentin emerge quando cerca di opporsi alla politica degli aumenti salariali uguali per tutti, in nome del giusto riconoscimento delle professionalità all'interno dei luoghi di lavoro, battendosi per il cosiddetto salario di qualifica.

Ma, nel 1975, si avvia il punto unico di contingenza per tutti i settori produttivi, con il sostegno anche di una parte significativa della CISL. Ancora recentemente (nel suo saggio "Il coraggio dell'utopia" del 1994) Bruno Trentin considerava questo meccanismo «una vera follia, l'ultimo approdo dell¿egualitarismo salariale, (¿) non era più la difesa del potere d¿acquisto; bensì, sia pure solo per un certo numero di anni, una forma di aumento del salario reale automatico, con l'effetto di appiattire i differenziali retributivi fra le diverse qualifiche professionali».

Nel 1977 Trentin diviene Segretario confederale della CGIL. Le battaglie sindacali degli anni Settanta e Ottanta si inseriscono nelle ripetute crisi economiche, con ondate inflazionistiche, forti difficoltà della grande impresa, liquidazione di interi comparti industriali, rilevanti ricadute sull'occupazione. Sono anche gli anni duri della strategia della tensione e del terrorismo, che vedono il Sindacato fortemente impegnato per la difesa degli istituti democratici e per l'isolamento dei gruppi eversivi all'interno del mondo del lavoro (al 24 gennaio 1979 risale l'uccisione di Guido Rossa, delegato sindacale della CGIL all¿Italsider di Genova).

Il 1978 è l'anno della cosiddetta "svolta dell'EUR", con l'impegno delle Confederazioni a contenere i salari in cambio di una politica di sviluppo e di difesa dell'occupazione. La pace sociale è però di breve durata, con i licenziamenti della FIAT, nel settembre 1980, di 14.000 lavoratori e la cassa integrazione per altri 35.000, cui seguono lo sciopero di 35 giorni dei metalmeccanici davanti ai cancelli torinesi e la successiva "marcia dei 40.000".

Da ciò scaturisce la rottura della linea sindacale egualitaria, con una forte crisi di rappresentatività del sindacato unitario, soprattutto nelle fasce professionali più alte, e la nascita, all'interno delle fabbriche, delle rappresentanze sindacali di base. Una crisi che sfociava in conclusioni fortemente contrastate, come l'accordo del 1983 sulla riduzione del punto unico di contingenza. In quegli anni di difficili relazioni intersindacali, Bruno Trentin rimane impegnato sul piano culturale per avvicinare aree anche lontane tra loro, spesso mettendo in secondo piano posizioni critiche personali, e restando un riferimento nella riflessione di esponenti della CGIL, ma anche di quadri sindacali della CISL e della UIL.

Bruno Trentin diviene Segretario generale della CGIL nel novembre 1988 e resta in carica fino al giugno 1994. Insieme, e talvolta in dialettica le altre Confederazioni, la sua azione sindacale si svolge nella contrattazione di accordi con il Governo e la Confindustria, in linea con la responsabilizzazione delle organizzazioni dei lavoratori di fronte alle difficoltà economiche e civili del Paese.

Già con il "decreto di S. Valentino" del 1984, il Governo Craxi - con l'accordo della Confindustria, della CISL e della UIL - aveva ridotto l¿incidenza della scala mobile. Nel 1992, con il consenso di Confindustria e ancora con la CISL e la UIL, il Governo Amato proponeva la soppressione di tale istituto. E' un momento difficile per Bruno Trentin, di fronte all'alternativa di sottoscrivere gli accordi in contrasto con il mandato del direttivo o di assumersi la responsabilità di far cadere il Governo. Come egli stesso ricorderà «un aggravamento della crisi economica e finanziaria, segnata dalle dimissioni del Governo, avrebbe costituito un danno per il paese e un danno ancora più grave per i lavoratori. E di questo un sindacato come la CGIL doveva farsi carico, anche a costo di pagare prezzi pesanti».

Per tale ragione, nel luglio 1992, dopo una drammatica riunione, la CGIL firma l¿accordo, e Trentin presenta le sue dimissioni (poi respinte all'unanimità dal direttivo della CGIL). Su tale vicenda, nel libro "Il coraggio dell¿utopia", Trentin stesso riconoscerà di avere commesso un errore: «Nel dicembre del 1991, quando la CGIL respinse ¿ ed io, con il senno di poi, mi sento particolarmente colpevole ¿ una proposta di ridimensionamento del sistema di scala mobile, ma che avrebbe mantenuto ancora un ruolo, non privo di consistenza, a quel sistema. Io fui tra quelli che respinsero quella proposta avanzata del ministro del lavoro Franco Marini, nella convinzione di potere condurre una battaglia forte e unitaria per riconquistare un sistema migliore».

Considero rilevante questo suo ripensamento, non tanto perché riferito alla posizione che come Ministro avevo assunto, ma perché esprime tutta la tempra e la lealtà di Bruno Trentin. Dopo la segreteria della CGIL, Bruno Trentin diviene Parlamentare europeo nel 1999, e fu membro della Commissione per i problemi economici e monetari, e di quella per l'occupazione e gli affari sociali. Anche in questa esperienza europea ci trovammo insieme e i miei ricordi del suo impegno sono molto nitidi.

Negli ultimi anni di vita la sua riflessione abbraccia temi come le disuguaglianze su scala mondiale, i diritti della persona, il collegamento stretto tra il lavoro e il sapere attraverso la formazione permanente, per una società basata sull'uguaglianza delle opportunità, fino a sviluppare il concetto del rapporto tra uguaglianza e libertà, con il primato della libertà che contiene i germi dell'uguaglianza e non l'inverso.

Bruno Trentin era amante della montagna e della bicicletta. E devo dire di aver condiviso con lui anche queste personali passioni.

Per concludere vorrei dire che Bruno Trentin non era di quelle persone con la quale fosse facile rapportarsi: aveva un carattere riservato, talvolta ruvido ma anche timido. Una figura di sindacalista, ascoltata e apprezzata al di là delle forze del lavoro. Un uomo che ha saputo assumere la responsabilità delle proprie proposte e delle proprie idee, con passione, tenendo sempre fermi, nella sua visione della società, i riferimenti al lavoro e alla libertà.



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